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E' dura la vita dei gruppi indie, soprattutto quelli sbucati fuori negli ultimi dieci anni. Sedicesimi, riff, motivetti che flirtano col pop e la consapevolezza che se questa volta è andata bene, la prossima non si sa. C'è chi trova la formula alchemica e la ripete all'infinito e poi invece c'è chi devide di evolversi, di sfidare se stesso e il pubblico, le proprie capacità e la propria creatività. I Bombay Bicycle Club hanno fatto proprio questo.
I ragazzi londinesi esordiscono nel 2009 con I Had The Blues But I Shoo Them Loose, un riassunto del genere indie di primo millennio, con tutte le caratteristiche di cui sopra, in cui spicca la splendida Evening/Morning. Due anni dopo una svolta intimista con Flaws, la grinta del primo disco viene spazzata via da brani emotivi, delicati e soprattutto belli, tra tutti Leaving Blues. Come una sorta di formula matematica, il terzo disco è la somma dei precedenti: A Different Kind Of Fix (2011) unisce sentimento e ritmo, manca ancora la quadratura del cerchio e NME se ne accorge. Le idee ci sono, gli arrangiamenti anche, l'orecchio è catturato e la testa segue il tempo ma dietro l'angolo si annida la consapevolezza che sei ad una spanna dal trasformare un quadro di belle sfumature in un'opera da museo. How You Can Swallow So Much Sleep (carucci i Bombay a scegliere sempre titoli corti) e Bad Timing stanno agli opposti: tanto aperta, colorata la prima quanto claustrofobica e chiaroscura la seconda. Manca solo un ingrediente e il gioco è fatto. Jack Steadman e soci affrontano tutta la seconda metà del tour nel tentativo di trovarlo e si accorgono di averlo tra le mani quando iniziano a suonare i nuovi pezzi dal vivo. A fine anno qualche assaggio, nel 2014 So Long, See You Tomorrow non più soltanto un abbozzo. World Music, specialmente influenze indiane, e dance sono le parole chiave dell'innovazione dei Bombay Bicycle Club. Ad arricchire il tutto ci pensa una sezione ritmica rinforzata, qualche ascolto i più di Kid A e l'artwork ispirato al pioniere della fotografia del XIX secolo Edward Muybridge.
Overdone mette tutto subito in chiaro: archi, percussioni saturate, riff belli e la voce di Lucy Rose che non è più relegata alle seconde voci come nello scorso disco ma qui diventa voce principale assieme a quella di Jack. It's Alright Now è uno dei tanti pezzi che fa capire quanto siano importanti le rullate per Suren de Saram, ma il capolavoro è di certo Carry Me. La tracklist premia il pezzo, gli arrangiamenti fanno il resto: un brano dinamico, semplice ma non lineare con ritmi serrati, percussioni, delay enormi, effetti vocali e un ossessivo “you carry me” che non ti lascia in pace. Home By Now è la classica canzone che non ti aspetteresti mai dai Bombay ma per una questione che riguarda solo i suoni, per il resto si tratta di un brano che come mood riprende molto da vicino quelli del loro secondo disco. Whenever Wherever è un altro piccolo gioiello, all'inizio sembra di trovarsi difronte ad una nuova Still e invece poi un bellissimo crescendo stravolge tutto. Dio li abbia in gloria. Luna è la diretta concorrente di Carry Me e non a caso questi sono stati i primi due singoli rilasciati dalla band. Un arpeggiatore di fondo ed un ritornello poderoso con le due voci in primo piano garantiscono emozioni, quando poi al secondo refrain si ferma quasi tutto tranne la voce di Lucy e qualche synth per poi sfociare nell'ultima sfuriata sonora finale, la standing ovation è d'obbligo. Eyes Off You è un pezzo struggente con un lampo ritmico che irrompe nel velluto di voci e pianoforte e sparisce prima che lo si possa godere a pieno. Feel, Come To e la titletrack che chiude il disco sono canzoni fatte bene ma niente di più.
Con molta probabilità Mr. Steadman ha ragione a dire che questo è l'album più bello dei Bombay Bicycle Club, le classifiche stanno premiando la qualità di So Long, See You Tomorrow e la cosa più importante è che, una volta ascoltato il disco, vien voglia di non dire addio e dare appuntamento al giorno dopo. Forse perché 'It’s time I let my mind desire'.....
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