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Dopo sette anni di sodalizio con la Victory Records e cinque album in studio pubblicati, per i Bayside era forse giunto il momento di tentare una nuova via nella propria carriera. Una carriera, peraltro, piena di soddisfazioni. Nati nel 2000 in quel del Queens, in New York, dopo vari cambi di formazione riescono a pubblicare nel 2004 il loro primo full length, “Sirens and Condolences”, cui segue l'anno successivo l'omonimo “Bayside”, con un nuovo bassista ed un nuovo batterista. Quest'ultimo rimane ucciso in un incidente stradale, al seguito del quale viene inserito nella line-up l'attuale batterista Chris Guglielmo. Nonostante il grave accaduto, la band riesce immediatamente a ristabilirsi, e a trovare la propria definitiva identità. Tutto ciò porta alla pubblicazione di altri tre album di buon successo, del loro primo disco live, oltre che di un ep acustico. È il 2013 però l'anno della svolta, con la firma per l'etichetta punk Hopeless Records. Da qui in avanti ci si aspetterebbe la definitiva consacrazione di una band che dovrebbe aver raggiunto la propria maturità artistica. Tuttavia, l'attesa dovrà essere prolungata. “Cult” è il titolo scelto per questo secondo album di debutto. Nonostante ciò, i Bayside non dimenticano il loro passato, e anzi lo ripropongono sotto una veste contemporanea: «Questo album racchiude ognuno dei precedenti. Ha l'onestà e la crudezza che ci ha contraddistinti sin da “Sirens and Condolences”, e si assume gli stessi rischi», afferma il cantante Anthony Raneri, aggiungendo che il nome vuole rievocare l'idea di un greatest hits. Questo dovrebbe essere “Cult” nei piani della band: una sorta di compendio di ciò che si è stati prima, alla luce di ciò che si è adesso. Non a caso la cover è formata da simboli che vogliono richiamare i precedenti lavori. Nei temi delle liriche, comunque, si può notare una certa evoluzione: si è passati da giovanili romanticherie a riflessioni più significative sul senso della vita e della morte. Nulla di inesplorato, sia chiaro. Ma è lecito tentare di accostarsi ad argomenti di discussione che possano dar credito all'effettivo raggiungimento di una maturità non solo musicale, ma anche umana. D'altronde lo stesso Raneri afferma in uno dei brani presenti nell'album, Bear With Me: «I'm twice the man I used to be». Ad ogni modo, musicalmente la solfa rimane grossomodo la medesima: un pop punk non eccessivamente pretenzioso, con qualche leggerissima venatura emo, in ricordo del passato, e svariati accenni di alternative rock all'americana. Non vi sono brani innovativi, ma il livello medio dell'album è più che discreto. Si ascolta senza momenti di noia, con pochi passi falsi (Hate Me, Stuttering e Something Wrong). Spiccano sul resto dei brani le tracce cinque e sei, Pigsty e Transitive Property: la prima sfodera una grinta sincera, più convinta, un riff interessante, un assolo positivo, una costruzione generale più ragionata rispetto ad altri pezzi, che invece scadono in una complessiva banalità; la seconda è invece una power ballad intensa, in cui il lavoro della chitarra di Jack O'Shea si fonde con il trasporto del cantato di Raneri, autore del brano e ad esso molto legato, tanto da definirlo la sua miglior composizione. Molto buone anche l'opener Big Cheese, il cui difetto è forse un'eccessiva compressione, il primo singolo Time Has Come, melodicamente allegra nonostante proponga le riflessioni sulla vita e la morte cui si è accennato, e The Whitest Lie, pezzo dall'andamento differente rispetto ai precedenti, nel quale vengono riproposte le due anime che compongono il disco, e perciò perfetto nella sua posizione di chiusura. Nel complesso “Cult” raggiunge agevolmente una piena sufficienza, e regala qualche fugace minuto di musica piacevole (per gli amanti del genere, ovviamente). Malgrado ciò, il salto di qualità è rinviato, e nel complesso rimane una leggera delusione. Permangono i pregi del passato, ma anche i difetti, su tutti la mancanza di mordente di Raneri, la cui voce, già di per sé non speciale, risulta in troppi momenti anonima ed inespressiva. Ma a questo difficilmente si potrà porre rimedio nell'immediato futuro. Teniamoci “Cult” per ciò che è: la celebrazione di una realtà indiscutibile ma incompiuta.
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