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Il seguito di Modern Guilt si è fatto attendere non poco. Ben sei anni separano infatti il nuovo Morning Phase dall’ultima fatica discografica del funambolico artista losangelino. Complice la fine del ventennale contratto che lo legava alla Geffen Records, il nostro Bek David Campbell ha approfittato della riacquistata “libertà” per dedicarsi alla sua etichetta personale e alla proficua attività di produttore per altri artisti. A passare per le sue sapienti mani i lavori di nomi celebri quali Charlotte Gainsbourg, Thurston Moore e Stephen Malkmus, oltre ad aver offerto le proprie abilità a personaggi come Philip Glass, Jack White e Gambino. Di questi ultimi anni è anche il progetto Record Club, che si propone di far realizzare a un artista terzo cover di album interi di artisti celebri nell’arco di una sola giornata: a passare attraverso questa centrifuga dischi di Velvet Underground, Leonard Cohen e INXS.
Insomma, questo splendido e attivissimo quarantenne non ne vuole proprio sapere di stare con le mani in mano. E, allo stesso tempo, sente pian piano arrivare il tempo di far bilanci. Sarà l’età, sarà l’umore o un puro test di registrazione, questo Morning Phase è stato presentato fin da subito quale fratellino minore (ma solo per anagrafe) dello splendido Sea Change, che usciva, ahimè, ben dodici anni fa. Non è un caso, infatti, che buona parte del personale che incise in studio Sea Change lo ritroviamo nelle session di questo nuovo lavoro (compreso il padre David Campbell, affermato arrangiatore e compositore).
L’uscita del disco e la presentazione stampa che lo poneva fianco a fianco con Sea Change ha fatto ovviamente sbizzarrire la critica, che si è divisa tra chi osannava acriticamente il disco (la maggioranza) e chi criticava già in partenza l’associazione col disco del 2012 (una robusta minoranza). Se volete che mi aggiunga al mucchio e sapere la mia su Morning Phase, è presto detto. L’ultimo lavoro di Beck Hansen è un disco morbido, carezzevole, che suona decisamente bene. La crescita professionale dietro ai mixer e in studio di registrazione è evidente e, se per svariati motivi il nostro ha abbandonato l’eccentricità e ribalderia dei primi dischi, non ha rinunciato ad ambire a una certa classicità. In questo senso, ci è pienamente riuscito: Morning Phase è un disco già classico in partenza. Un disco ben prodotto e con pezzi così curati che è fatto per piacere. Una patina di nostalgia corre lungo tutto il disco, e soundscapes densi e stratificati gli conferiscono una parvenza vagamente shoegaze e decisamente dreamy, molto di più rispetto a Sea Change, che suonava invece più agreste, più Midwest. La melodia di Wave ricorda vagamente i Radiohead di Pyramid Song, mentre Say Goodbye si riallaccia a certe atmosfere vaporose che richiamano brani come End Of The Day. Quest’ultima fatica è però meno disperante, meno “minore” nei toni rispetto al suo fratello maggiore: si può intuire una serenità d’animo maggiore rispetto a dodici anni fa.
Sicuramente mancano i guizzi del Beck anni ’90, ma a tale distanza di anni è forse anche fisiologico, ed è chiaro che ormai l’artista americano punta a raggiungere altri obiettivi. Forse Sea Change poteva contare su brani più immediati e orecchiabili, che colpivano fin dal primo ascolto, mentre in quest’album a risaltare è più la completezza e compattezza dell’insieme rispetto alle prove delle singole tracce, eccezion fatta per i pezzi d’apertura e di chiusura. Waking Light è una ballata visionaria, con un ritornello epico e solenne; Morning, preceduta dalla breve intro Cycle, riporta decisamente ad alcuni dei momenti più caldi e avvolgenti di Sea Change.
Per chi ha apprezzato Beck in tutte le sue incarnazioni artistiche, questo disco sarà una piacevole conferma. Chi attendesse qualcosa di nuovo e spiazzante dal californiano, rimarrà molto probabilmente deluso: quest’album non è fatto per destabilizzare, ma per rasserenare. Al di là delle considerazioni sulla carica innovativa dell’artista, Morning Phase è una bella pagina nella storia discografica del nostro.
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