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The Afghan Whigs
Do To The Beast
2014
Sub Pop
di Giuseppe Celano
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Gli Afghan Whigs sono stati una band di culto, amata alla follia dai loro fan e idolatrata da molti critici. Sono passati sedici lunghi dal loro ultimo disco e Greg Dulli & co. si rimettono insieme dando un seguito a 1965 con un disco intitolato Do To The Beast.
Si parte sulle note dell’opener Parked Outside, una downtempo lasciva perfetta per uno spogliarello di Salma Hayek in una pellicola diretta da Quentin Tarantino. Dal punto di vista musicale non è cambiato molto, molte chitarre graffianti e la solita sgraziata voce di Greg che di imparare a cantare proprio non ne vuole sapere. Nella seconda take l’intro è molto vicino agli A Perfect Circle ma muta in pochi secondi, virando verso qualcosa di sfuggente ricca di melodia orientaleggiante. Impossibile resistere al bridge furbo di Algiers, ballata in pieno stile Afghan, così mielosa da strappare un sorriso e il coma diabetico. Meno a fuoco e più trascinata per le corde è Lost In The World, con spunti apprezzabili ma senza quella forza motrice tipica delle loro sfavillanti composizioni elettriche. A quota sei della tracklist, e precisamente in The Lottery, un incubo ci assale: il suono delle chitarrine di The Edge e degli ultimi insopportabili U2 ci prende alle spalle, a tradimento senza un benché minimo preavviso. Dopo questa caduta di stile si potrebbe pensare che il resto del disco sia spacciato. Falso; come tutti le grandi band anche gli Afghan Whigs, nella successiva Can Rova, sono capaci di un colpo di reni micidiale. È musica eterea, quasi impalpabile ma dal grande effetto emozionale. Buona anche la doppietta Royal Cream e I Am Free, ma meglio di tutte le altre fa la conclusiva These Sticks. Davvero un grande pezzo, con sezione ritmica percussiva dai risvolti tribali e crescendo con tanto di deflagrazione finale.
Do The Beast è un album discreto, nulla per cui cadere dalla sedia urlando al miracolo ma neanche il solito album registrato per giustificare una reunion e il successivo tour. Dulli ha ancora qualcosa da dire, a modo suo certo, sembra che dopo quasi un ventennio nulla sia cambiato veramente, anche se a un’analisi approfondita il lavoro rivelerà differenze sostanziali con il resto della loro produzione.
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09/04/2014 -
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