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Da dove saltano fuori queste quattro ragazze di Los Angeles, California? La domanda è legittima, se è vero com’è vero che le Warpaint hanno fatto il balzo dal (relativo) anonimato alla notorietà in men che non si dica con l’uscita dell’ultimo disco omonimo all’inizio di quest’anno. Dopo che il debutto The Fool del 2010 era passato praticamente inosservato. Per carità, di casi simili se ne contano nel passato. Tuttavia il plauso della critica è stato pressoché unanime e, di conseguenza, alquanto sospetto.
A rappresentare il nucleo centrale della band sono i tre membri originali Emily Kokal, Theresa Wayman e Jenny Lee Lindberg, cui si aggiunge, in quest’ultimo lavoro, la batterista Stella Mozgawa. A promuovere l’album prima della sua uscita ufficiale il singolo Love Is To Die, un brano, per chi non le conoscesse già, più che sufficiente a stabilire le coordinate di quest’album e quelle, in generale, della band in questi ultimi tempi. Dal primo ascolto del singolo, si capisce che il punto focale del disco gira intorno a batteria e percussioni da un lato e al minimalismo languido e rarefatto di chitarre e voce dall’altro. L’impressione viene alimentata andando traccia per traccia a scardinare gli ingranaggi che compongono l’album. Se Keep It Healthy ricorda in parte alcune atmosfere dei Radiohead di Knives Out, in Biggy si fa strada un riff di synth accompagnato da suadenti note peregrine di chitarra che risuonano lungo tutto l’arco d’ascolto, puntellate dal basso pienamente centrato e pulsante, a suggellare uno dei pezzi migliori del lotto. CC è un inquieto episodio post-punk dalle tinte fosche, mentre in Disco//Very si ascolta un esperimento dark-disco non proprio azzeccato.
Il ventaglio di offerta è apparentemente ampio, ma la cifra stilistica è data da una sorta di magmatico alone che pervade tutte le tracce, le rende ovattate e come provenienti da una galassia distante. Se da una parte questo dà a Warpaint una certa personalità e una coesione sonica, dall’altro lo rende pachidermico e ingombrante, e in certi episodi anche noioso. Al primo ascolto è un disco che può anche sorprendere, ma è una sensazione che tende a scemare proporzionalmente al numero di ascolti.
Disco dell’anno, come dicono alcuni? Bluff totale, come chiosano altri? No, semplicemente un discreto prodotto, che non rappresenta però alcun fulmine a ciel sereno o rivelazione incredibile, ma solo un’uscita a livello di tante altre in un mercato sovrabbondante. Certo, poi leggi che John Frusciante produsse il primo Ep della band in quanto ex della Kokal, che Chris Cunningham è il marito della Lindberg e che il fidanzato della Wayman è James Blake e la voglia di fare due più due sul loro successo comincia a venirti…
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