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Con Museica Caparezza arriva a sei. Un bel traguardo per il rapper molfettese che, oramai oltre dieci anni fa, cantava le difficoltà del secondo album nella carriera di un artista. Invece superato tale scoglio, a posteriori rivelatosi piuttosto un trampolino di lancio, la carriera dell'eccentrica impersonificazione di Michele Salvemini ha partorito prodotti di livello sempre più alto, proiettandolo in una propria sezione della realtà musicale, che non rientra pienamente nel mainstream ma che di sicuro non può essere definita underground. Capa è ancora 'in bilico', ma non come ai tempi di Dindalè Dindalò. Adesso ha raggiunto una sua maturità piena. E proprio per questo può concedersi anche il lusso di rischiare, pubblicando un album più difficile dei precedenti, soprattutto musicalmente.
Uno pseudo-concept che vuol fare di se stesso una mostra d'arte, col pretesto di contenere al proprio interno brani ispirati da celebri opere di grandi maestri. E ce n'è per tutti i gusti: da Van Gogh a Goya, da Marcel Duchamp a Frida Kahlo, passando per Giotto, Malevic e Lucio Fontana. Ora, la connessione che lega ogni opera alla rispettiva canzone è stata spiegata in varie interviste dallo stesso Caparezza, e non è il caso di soffermarcisi. Cerchiamo, invece, di stare al gioco dell'artista: viaggiamo surrealmente in tale mostra dell'interiorità del ricciuto cantautore pugliese. Molto sensibile alle attese dei visitatori in fila per l'ingresso, il Capa ci offre un accompagnamento iniziale che un po' introduce e un po' intrattiene, mentre ci dirigiamo verso la prima opera. Avrai ragione tu (ritratto) è un brano musicalmente non innovativo, tuttavia piacevole e di facile presa, specialmente nel ritornello. A fare da base è un'atmosfera fittizia di richiamo al mondo sovietico, in quanto l'autore afferma di essere obbligato dai comunisti russi nella sua testa a ritrattare le posizioni assunte finora nella sua carriera. Sono scuse non sentite a chi si è sentito irritato dalla sua musica, offeso dalle sue parole o deriso dalle sue rime. Mentre ancora risuonano le urla moscovite, la nostra attenzione viene attratta velocemente dall'opera successiva, dotata di un'irresistibile ed energica carica emotiva: Mica Van Gogh. Si tratta di un pezzo dal sound molto duro, un connubio di rock ed elettronica ben più aggressivo rispetto a brani come Un vero uomo dovrebbe lavare i piatti o Messa in moto presenti nei precedenti due album. È soprattutto spiazzante il testo, crudele e spietato come raramente accaduto nella carriera del cantautore di Molfetta. Un attacco velenoso ad una certa gioventù italica (e non solo), sotto forma di difesa della sanità mentale del maestro olandese. È come se il secchione adolescente de La mia parte intollerante fosse cresciuto e avesse deciso di riversare la propria acrimonia sulle nuove generazioni. Incisivo, di certo.
Passando oltre ci imbattiamo in Non me lo posso permettere, il primo vero singolo di questo nuovo album. Si ritorna ad un pezzo tipicamente caparezziano, sostenuto da un riff di violino intrigante e vagamente celtico. Il testo analizza la frase di cui si compone il titolo alla luce di varie problematiche che stanno affliggendo ormai da qualche anno la nostra società. Segue Figli d'arte, opera che dà qualche spunto di riflessione, senza tuttavia lasciare un segno profondo.
Superiamo la prima sala ed entriamo senza esitazioni nella successiva. Immediatamente il nostro sguardo cade sull'opera più vicina: Comunque Dada, un pezzo di rara audacia. Si potrebbe parlare di musica dadaista, e non solo per il testo pregno di riferimenti. Difatti, musicalmente potremmo definire tale brano un collage di generi che sembra richiamare l'irriverenza dei montaggi di Hausmann e Höch, passando da un'elettronica minimale ad un'aggressività prettamente rock nel ritornello. Un vero manifesto di ciò che Capa intende essere, con contenuti che si avvicinano a La legge dell'ortica presente in Verità supposte, ma totalmente immersi nella sfrenatezza della corrente d'arte originaria di Zurigo. Su una scia simile si pone anche Giotto beat, le cui sonorità però riprendono quel beat anni '60 che invase l'Italia in un momento di particolare benessere. Il tema è quello della mancanza di prospettive per le nuove generazioni: nemmeno Giotto pare poter trovare una soluzione!
Proseguendo nell'itinerario consigliato passiamo ad una sala dai toni chiari, molto sobria ma colma di passione, in cui sono esposte due opere d'amore tra loro molto differenti: Cover, inno alla musica che si compone di una carrellata di copertine storiche, racchiudendo in sé il senso di tutta l'esperienza museicale; e China Town, prima vera ballata di Caparezza che, accompagnato da un elegante pianoforte, descrive con affetto il proprio amore per la scrittura, animato da un sentimento sincero che mai potrà tradire. E arriviamo così alla metà del percorso, scandita da aCanzone a metà, brano che ci racconta come le opere d'arte incompiute siano vere e proprie allegorie della vita. Il tutto però in una veste musicale non molto suadente. Gli occhi si spostano allora in maniera repentina sulla seguente Teste di Modì, un attacco alla critica d'arte superficiale e superba, inserito in un contesto musicale che si avvicina molto al Capa de Il sogno eretico.
La sala successiva è tetra ed agghiacciante: il visitatore incauto del museo si ritrova di fronte ad Argenti vive, il pezzo più nerboruto dell'intera discografia del rapper di Molfetta. Il sound è molto compresso e cupo, il drumming è violento e sembra voler rappresentare la ferocia di cui Filippo Argenti si fa emblema. Il celebre vicino di Dante, da questi posto negli inferi e bistrattato, accusa il sommo poeta di non essere poi tanto diverso da lui, dal momento che alla sua vista non ha esitato a scadere nell'umanità più bestiale. Tanta virulenza lascia scossi, e decidiamo di accelerare il passo. Non vorremo perderci le ultime opere. Così, diamo una rapida occhiata a Compro horror, che descrive la bramosia di tragedie e morte da parte di un pubblico deviato e di mass media sempre più assetati di share.
Nel corridoio che separa la sala cupa dalla seguente troviamo Kitaro, brano dedicato ad un cartone animato giapponese poco conosciuto in Italia. Inaugura la nuova ed ultima sezione del museo Troppo politico, pezzo in cui l'elettronica spadroneggia, mentre il cantautore si fa beffe dell'accusa che più spesso gli viene rivolta. Nella seguente Sfogati viene presa nuovamente di mira la critica senza criterio che affligge ogni ramo dell'arte. Una critica spesso gratuitamente ingiuriosa, che non nega giudizi affrettati e carichi di disprezzo, spesso figli di una frustrazione personale. Gli stilemi musicali sono qui più attinenti alle precedenti produzioni caparezziane. Fai da tela è invece un nuovo interessante featuring tra Caparezza e Diego Perrone. Si tratta di un brano carico di tensione, eppure arrendevole, immerso in un inatteso senso di malinconia. L'artista pugliese racconta un essere umano vittima del giudizio altrui, tanto temuto e spesso respinto, ma impossibile da ignorare. Siamo tutti tele bianche pronte a ricevere pennellate (o peggio) dalle mani di chi ci osserva. La sintesi è: siamo come appariamo. È inutile cercare di liberarsi da tale realtà, che fa parte inevitabilmente del gioco della vita.
Mentre siamo intenti a rimuginare su tale riflessione, ecco una voce avvertirci dell'imminente chiusura del museo. Torniamo dunque in noi e ci dirigiamo velocemente verso l'ultima pittura auditiva, posta nei pressi dell'uscita: È tardi, dall'andamento estremamente ritmico e molto vicino ad un tipo di sonorità d'oltreoceano, forse per mettere a proprio agio l'ospite d'onore Michael Franti, ci narra la celerità dello scorrere del tempo, che ci sorpassa in maniera inesorabile, facendoci giungere in ritardo ad ogni svolta della nostra vita; la morale è però che non bisogna arrendersi. È necessario andare avanti con fiducia e agire, nonostante tutto.
Recandoci verso l'uscita l'artista, che a tutto pensa, ci offre un ulteriore accompagnamento finale, allo scopo di allietare il nostro defluire. Tale accompagnamento, in fin dei conti, risulta più che altro una spiegazione di ciò che è stato mostrato: viene definito il capaism, la corrente ammirata in questa esperienza visiva e sonora surreale, che lascia confusi e spaesati, ma ciononostante certi di aver ricevuto una soddisfazione valevole il prezzo del biglietto.
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