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Tutto cominciò a dicembre, esattamente l’11, quando venne pubblicato il primo teaser, il primo riferimento esplicito a un album di là da venire. Due teschi finti su un pianoforte, un gufo dagli occhi fiammeggianti sulla destra e un microfono in primo piano, presto coperto dalla schiena di Damon. “Damon Albarn, First Solo Album, Coming 2014”. Da qui cominciò una strategia promozionale vincente, che fece crescere a dismisura la curiosità e l’attesa da parte di addetti ai lavori e fan nei confronti di questo enigmatico disco solista.
Il 19 gennaio arriva la conferma ufficiale: Everyday Robots esce via Warner il 28 aprile di quest’anno, con il singolo omonimo a fare da apripista e da primo regalo ai fan. Il pezzo piace, convince, e accresce la curiosità. A gettare altra benzina sul fuoco ci pensano gli altri singoli, tutti selezionati in maniera impeccabile e tutti decisamente sopra la media. Lonely Press Play, Mr. Tembo e, soprattutto, Heavy Seas Of Love fanno pensare a un album straordinario, a un’opera che potrebbe aggiudicarsi, se non il riconoscimento come miglior disco dell’anno, come minimo il podio.
Dopo il 28 aprile, in molti rimangono della stessa idea. Alcuni per reale convinzione, altri per partito preso, altri ancora per non aver recuperato la sbornia di ammirazione e approvazione nei riguardi dei singoli. I singoli erano stati scelti fin troppo accuratamente, al punto che c’è una buona parte del resto dell’album che soffre, in particolare la sezione centrale. Insomma, la campagna promozionale e di lancio ha funzionato fin troppo bene, gettando un po’ di polvere di stelle negli occhi per distogliere e distrarre l’attenzione da tutto ciò che compone il resto del disco, cioè altri 9 pezzi.
Ma entriamo nel merito. Il disco si apre con la title-track, già ampiamente ascoltata nei mesi che hanno preceduto l’uscita dell’album intero. Il brano regge la prova del tempo e continua a convincere e affascinare, con quel campionamento di violino che diventa tormentone e non esce più fuori dalla testa, e l’arrangiamento di tutti gli archi che crea la vera impalcatura del brano, costruito intorno a una melodia tutto sommato semplice. La voce intatta e sempre suadente di Albarn fa il resto nello scolpire uno dei brani più personali del disco. A seguire i>Hostiles, che prosegue nell’atmosfera ombrosa e malinconica del brano precedente, con un bel chorus quasi soul, contraltare alla voce cadente e smarrita di Damon. Lonely Press Play riprende lo stesso beat di drum machine solo in maniera più ritmata e veloce, dando nervi e motore a un pezzo appena poco più spensierato, a dispetto della solitudine tecnologica e dell’incertezza descritte nelle liriche. La vera boccata d’aria la tiriamo con Mr. Tembo, l’unico brano davvero gioioso della raccolta, forte della collaborazione con il Leytonstone City Mission Choir, noto ad Albarn fin da bambino. Mr. Tembo sarebbe il nome di un cucciolo di elefante conosciuto in uno zoo in Tanzania, cui Albarn dedicò il pezzo: un gospel dal ritmo incalzante e giocoso, una piccola perla.
Poi, cosa succede? Il primo episodio non del tutto riuscito è The Selfish Giant, traccia un po’ incolore che scivola via senza lasciare molto, nonostante il testo molto autobiografico e l’intervento alla seconda voce di Natasha Khan, a.k.a. Bat For Lashes. Ancora, You And Me vede la partecipazione di Brian Eno ai synth, ma la traccia è francamente troppo lunga e monocorde per incitare al riascolto, e anche lo stesso Albarn non sembra aver trovato la quadratura del cerchio nella melodia delle liriche e nell’uso delle sovraincisioni vocali. Con la quasi lugubre Hollow Ponds le quotazioni si risollevano un po’, mentre la breve Seven High ci traghetta verso la parte finale dell’album. Photographs (You Are Taking Now) ricorda qualcosa della produzione dei R.E.M. periodo Up grazie particolarmente alle tastiere e qualcosa nelle melodie del testo. La frase “This is a precious opportunity: beware of the photographs you are taking now” è un campionamento di un audio libro di Timothy Leary. Heavy Seas Of Love conclude il disco in grande stile, con la presenza di Brian Eno alla voce e ai synth e di nuovo del Leytonstone City Mission Choir: la contrapposizione tra la voce profonda di Eno, non a caso inserita nella strofa, che è una sorta di preludio a quello che è il nucleo centrale e il cuore pulsante del brano intero, e quella appassionata di Albarn funziona a meraviglia, per un brano che in parte ricorda l’exploit di Tender.
Per ammissione dell’autore, Everyday Robots è un disco molto personale e sentito, con le liriche che hanno richiesto uno sforzo particolare. Peccato per alcuni passi falsi, non del tutto all’altezza e che fanno abbassare un po’ la valutazione complessiva. Ciononostante, abbiamo tra le mani e nelle orecchie un disco sopra la media che rimane sicuramente tra le uscite più apprezzate di questo 2014.
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