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E ora come lo descrivi un album così? E’ questa la domanda che mi sto ponendo da almeno un paio di giorni. “Strano”, “senza senso”, “assurdo”, “disadattato”… Forse l’ultimo è l’aggettivo più calzante, non che sia necessariamente da intendere con accezione dispregiativa, però non è nemmeno una qualità. 'Tyranny' è un’entità a sé stante, che non si adatta per l’appunto a niente, frutto di una mente musicale con ogni probabilità disadattata come quella di Julian Casablancas. Del resto dalle sue ultime interviste il 36enne newyorkese non sembra nascondere il fatto che lui stesso a malapena si spiega come la sua prima creatura, gli Strokes, siano diventati la band cult degli anni 2000. Un successo più grande di ogni più rosea e probabilmente plausibile aspettativa, che lo ha spiazzato in misura forse maggiore rispetto agli altri suoi ex compagni. Un percorso singolare, composto da fattori come il contesto familiare, ambientale, le epoche, le mode e tutto il resto troppo unici per poter essere compresi, che hanno portato Casablancas fino a qui.
Com’è possibile che esca un disco del genere? Facile, l’etichetta l’ha fondata lo stesso Julian, quindi niente e nessuno si è potuto frapporre tra lui e la realizzazione di questo delirio applicato in 12 tracce. Un delirio tuttavia pregno di fascino, denso di oscurità e lampi, caos e flashback, ma che guarda al futuro. Sperimentazione d’avanguardia estrema o un’accozzaglia senza capo né coda? Quanto è sottile il confine tra queste cose? Difficile da dire, certo è che non so davvero cosa si sarebbe potuto dire o scrivere di questo lavoro se l’autore non fosse stato l’ex-frontman degli Strokes, benestante fin dalla nascita e con un’ormai consolidata fanbase (insieme alla maturità ed esperienza artistica).
Lo stile dell’album palesa dei rimandi 80’s che però nulla hanno a che fare con quelli del (sottovalutato) precedente lavoro da solista ('Phrazes For The Young', RCA, 2009) molto più pop ed ordinato, eccezion fatta per River Of Brakelights, l’unico brano riconducibile al nuovo corso targato The Voidz. Né tantomeno sembra collegato in alcun modo alla produzione (neppure quella più recente) degli Strokes, le cui sonorità originali sono ormai un ricordo sbiadito e remoto. In alcuni momenti le tracce di 'Tyranny' sembrano tratte da un film horror fantascientifico, anni 80/90, a basso budget… che poi altro non è che lo stile del videoclip del singolo Where No Eagles Fly, non a caso.
Impossibile annoverare tutti i riferimenti e le escursioni musicali, improvvise ed inaspettate, contenute nell’album, perché appaiono e scompaiono con fare appunto “delirante”, a volte ricordano le musichette dei videogiochi di quell’epoca, altre volte invece sono frutto di strumenti talmente carichi di effetti da sembrare rumori campionati e non sono neanche certo che in molti casi non lo siano davvero. Una scelta definita e decisamente coraggiosa, volutamente lontana degli schemi e canoni conosciuti di armonie e strutture, una fusione tra passione impulsiva ed astrattismo ossessivo che può incuriosire, ammaliare, così come stancare o risultare anche inascoltabile.
Il mood predominante tende verso una sorta di “electro-dark”, o comunque un terreno adatto al connubio tra sprazzi di nostalgia, rabbia e senso di estraniamento, tradotti musicalmente nei modi più disparati e sparsi nei vari brani. Non si può certo dire che Casablancas non avesse già messo in guardia i suoi fan con il release di Human Sadness, primissimo estratto del disco da ben 11 minuti (troppi). A spiazzare gli ascoltatori, oltre alle sue dimensioni dilatate, sono stati i suoi spunti apparentemente (o effettivamente?) senza capo né coda, che vanno da armonie di archi a synth che sembrano raggi laser, riff, assoli ed acuti sparsi, roba che suona alla rovescia, psichedelia rumoristica alla Revolution 9 dei Beatles e chi più ne ha più ne metta. Dopo questo primo assaggio, di lì a poco sarebbe seguito il vero e proprio singolo, Where No Eagles Fly, traccia che sorprende per la sua inaudita violenza di suoni (nel ritornello infatti Casablancas sembra posseduto da Marilyn Manson!) e che strutturalmente porta ad un crescendo di impatto devastante.
Nel repertorio di pezzi “veementi” sulla falsariga del singolo figurano anche M.Utually A.Ssured D.Estruction, caratterizzata da un riff prepotente e dalla batteria martellante, che non è un azzardo definire di stampo “metal”. Andazzo simile per Business Dog, scandita da un ritmo forsennato fino all’estremo e da una distorsione di chitarra talmente acida da ricordare il “suono” che si otteneva dalle musicassette tenendo premuto il tasto FF (quello che mandava avanti per capirci, “Flash Forward” per i più tecnici…) mentre stava già andando il Play…! Eppure i primi due brani sembravano quasi normali, in particolare l’apripista Take Me In Your Army, che ricorda alla lontanissima la sigla di 'Twin Peaks' ed introduce perfettamente nel clima crepuscolare artefatto da horror retrò di serie B descritto poc’anzi. Anche Crunch Punch tutto sommato, dava ancora dei punti di riferimento strutturali tangibili, Julian si distingue anche per certi acuti apprezzabili (ovviamente in falsetto), per quanto a margine di dissonanze chitarristiche alle quali per forza di cose si farà l’abitudine andando avanti. Da segnalare poi la singolare coda conclusiva di Crunch Punch, composta da vecchi jingle radiofonici raccattati e buttati là, che risulta inquietante come se fosse l’equivalente sonoro di uno di quei collage di ritagli presi da giornali e riviste, che nei film dell’orrore spesso si vedono sulle pareti dei nascondigli dei serial killer psicopatici... Un’altra stranezza a cui si presta l’orecchio con il passare degli ascolti è quando in certi momenti sembra come se Casablancas si fosse reso perfettamente conto del fatto che tenda a stonare e che quindi, anziché cercare di nascondere queste stonature, tenti di esaltarle, assecondando loro gli strumenti fino a farle sembrare qualcosa di armonico, rendendole un tratto peculiare e stilistico… spesso lontani da ogni minimo concetto di melodia.
Nel complesso fa tutto parte di un esperimento per certi versi molto audace, così come la scelta di optare per uno stile decisamente lo-fi che, sebbene sia curato ad arte fin nei minimi dettagli, rende il risultato quantomeno “discutibile” già in versione studio, ma che sembra essere un autogol annunciato in prospettiva live… che non è mai stato il punto forte di Casablancas. Nel calderone di 'Tyranny' si trova di tutto, da curiosi esperimenti (di dubbia riuscita) con ritmi tribali tradotti in suoni sintetici di Father Electricity, fino a pezzi oggettivamente ridondanti ed evitabili come Xerox, Nintendo Blood e l’ultima Off The War. Su Dare I Care invece la “mira” risulta essere “aggiustata” ed il pezzo fila gradevolmente, anche se probabilmente l’apice del disco è rappresentato da Johan Von Bronx, che propone una strofa intima insaporita da un vago gusto radioheadiano, seguita da tre diverse situazioni che potrebbero essere tre ritornelli, così come tre incisi… come già detto, la struttura è un concetto perlopiù dimenticato ed arrivati a questo punto la cosa è diventata pure plausibile.
Tirando le somme il disco dimostra una voglia smodata di Julian Casablancas di fare qualcosa che potesse risultare quanto più visionario e lontano da qualsivoglia canone già esplorato, tuttavia il lasciarsi in totale balia di sé stesso nel farlo è stato probabilmente l’azzardo più grande, mettersi in mani più esperte (personalmente gli avrei consigliato i Dirty Projectors, se non addirittura lo stesso Timbaland, memore delle collaborazioni con Bjork) avrebbe potuto rendere questo disco un capolavoro.
Twitter: @MrNickMatt
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