|
Reduce dal successo di 'Blues Funeral' e 'Imitations', Mark Lanegan si riconferma una macchina sforna-dischi. Anticipato quest'estate dall'uscita dell'Ep 'No Bells On Sunday', 'Phantom Radio' - questo il titolo dell'ultimo album - pur prendendo le distanze dal mood folk-blues dei predecessori, mostra comunque alcuni tratti distintivi della fisionomia musicale del cantautore statunitense, tra cui la voce gutturale-graffiante, il male di vivere, l'oscurità dei testi, la disperazione delle liriche e la tensione funerea di alcuni brani (Judgement Time). Senza infettare con eccessivo buonismo il seme "malefico" della poetica tipica del Nostro, riaffermato fin da inizio disco ("Black is a color/ Black is my name/ I need something to help me chase the devil away"), tastiere e synth à la Depeche Mode la fanno da padrone in Floor Of The Ocean, track di rara bellezza.
Gli angoli vivi, quelli più insidiosi delle sue composizioni, vengono ampiamente smussati da arrangiamenti New Wave, elettronici, affini alle sonorità dei Joy Division. La naturalezza con cui in Harvest Home - brano tra i più meritevoli di tutto il disco – Lanegan vira verso suoni squisitamente Eighties affascina e, assieme, lascia piacevolmente sorpreso chi ascolta. Sono le aperture melodiche, però, il vero leitmotiv di questo album: Torn Red Heart e Waltzing In You ne sono l’esempio più manifesto. Liriche struggenti, malinconiche, accostate ad arrangiamenti votati all'elettronica (o, addirittura, anche al puro pop) si intersecano a metà strada, in un improbabile - ma piacevolissimo, sia chiaro - incontro sonoro.
Il mefistofelico Lanegan, cinquant’anni appena compiuti, nove album nel cassetto, è in grado di reinventarsi come solo pochi artisti sanno fare, cambiando di volta in volta la propria traiettoria musicale. Senza sbagliare un colpo.
|