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Robert Plant
Lullaby And … The Ceaseless Roar
2014
Nonesuch / Warners
di Giuseppe Celano
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Robert Plant è un signore anziano dai modi gentili e dai capelli con un tocco d’argento ai lati che tradisce i segni del tempo. Si muove lentamente ma con grazia, con qualche chilo in più ma senza la necessità dì vestire i panni della rockstar immortale che non si vuole rassegnare all’invecchiamento (Vero Jagger?).
Con buona pace del vecchio Percy, il singer ha raggiunto un equilibrio invidiabile, ma attenzione non è staticità. Plant è ancora un leone temibile e capace di attizzare il fuoco come nel suo ultimo concerto romano in cui ha presentato proprio 'Lullaby And …The Ceaseless Roar'. Registrato insieme alla sua nuova band, The Sensational Space Shifters, il lavoro parte da movenze zeppeliniane nel rifferama (Embrace Another Fall) per costeggiare nuovi sentieri folkeggianti (Little Maggie). Plant è stato da sempre un fanatico della ricerca mista a contaminazione, a differenza dello stesso Jimmy Page è infatti quello che ha deciso di non vivere nell’ombra dello Zeppelin. Dei tre sopravvissuti è quello invecchiato (artisticamente) meglio. Il lungocrinito cantante infatti ha avviato una carriera di tutto rispetto che nell’ultimo decennio s’è involata verso opere sempre più interessanti.
Se il singolo Rainbow è una ballata lenta e sognante, Turn It On sfrutta invece riff secchi (che piacerebbero a Jimmy) e sezione ritmica percussiva mentre Robert sfoggia toni muscolari che ammorbidisce nell’evocativa A Stolen Kiss. Il continuo ruotare dei musicisti non è tirannia ma mutamento per l’insofferenza verso la staticità, la rivoluzione delle parti è l’unico propellente che lo mantiene ancora vivo e brillante. Se aggiungiamo che sul viale del tramonto di 'Lullaby And … The Ceaseless Roar', Robert infila altri due centri, House Of Love e Up On The Hollow Hill, la cui natura gravita intorno alla tanto amata ricerca sonora, allora possiamo semplicemente aggiungere che Robert Plant è come il buon vino, rigorosamente rosso. Il suo sguardo volge verso sentieri il cui profumo, arabeggiante, ammalia le orecchie di chi si pone all’ascolto conducendolo verso il gran finale in cui tutto quanto detto finora confluisce nel sigillo Arbaden.
Che Robert Plant sia un fuoriclasse, la cui voce con il tempo è migliorata sapendosi riscattare dall’ansia delle vette vertiginose non più raggiungibili a causa dell’età e del calo di un'ottava, non avevate bisogno di leggerlo in questa recensione. Quel che ci piace aggiungere è che a differenza dei suoi colleghi, Percy può cantare davvero tutto staccandoli di gran lunga con un minimo sforzo.
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24/10/2014 -
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