|
C’era d’aspettarselo, dopo il minimale 'Semper biot', lo straripante 'Odio i vivi', Edda torna a fare rock, nel modo spartano e surreale che solo a lui appartiene, del tutto alieno da italianismi facilmente rintracciabili.
'Stavolta come mi ammazzerai?' snocciola diciassette brani dal sorprendente taglio melodico, stuprato (Pater) dalla vena dissacrante di questo miracolato del rock che, attraverso occhi dotati di raggi gamma, fotografa lo spaccato della mediocre italietta in cui viviamo. Il suo modo di seviziare la metrica della lingua italiana frantumando anche il classico song-like format è sadico e, allo stesso tempo, di una franchezza imbarazzante quando descrive il suo fallimento nel rapporto con l’amore (Tu e le rose). La voce è incisiva, graziata dal passare del tempo, in Bellissima il canto emerge cristallino mentre la sezione centrale pesca a piene mani dai Pink Floyd di Have A Cigar. La dissezione della disperazione in tutte le sue forme è posta qui in primo piano, sviscerata in ogni dettaglio mentre con fare chirurgico Edda ne esplora tutti gli anfratti lasciando davvero senza fiato.
Questo terzo lavoro solista è pieno di riferimenti musicali importanti, sfrutta inserti elettronici (Piccole Isole) su cui però svettano chitarre muscolari che sostengono Rampoldi nella sua scalata verso picchi emozionali raggiungibili solo da pochi eletti (Puttana da 1 euro). Il compositore milanese è ironico e divertente in Mela che si presta perfettamente al suo gioco di doppi sensi, ma la disillusione non demorde, risale in superficie galleggiando su un tappeto sonoro fatto di melodia delicata. Edda si avvinghia ai giri armonici con obliqui gorgheggi mentre subito dopo si sfoga con irruenza in Peppa Pig.
Composto in solitaria, dentro una sala prove di Arezzo, questo nuovo lavoro spazia dal (post)rock al punk, è guidato da efficaci soluzioni armoniche su cui Edda applica una spietata violenza sintattica. Pater ha un testo durissimo che Stefano esalta attraverso la sua parossistica teatralità vocale. Citazioni di St. Tropez Twist (Peppino di Capri) affogata da riff punk (Ragazza meridionale) si mischiano a quelle dei Giardini di Marzo (Battisti) e Cervo a primavera (Cocciante) infettata dal virus rock. Stellina sfoggia muscoli tirati a lucido, ruvida e diretta fortemente ispirata dalla semplicità lineare del rock. Il brano è così brillante e spontaneo che strappa allo stesso Stefano un: “Andate a fanculo è bellissima…ah ah ah”.
I brani lambiscono ma non superano i tre minuti, per questo l’album non mostra segni di stanca né suscita noia nell’ascoltatore, nonostante l’intensità e gli argomenti toccati. Chitarra, basso e batteria, come in un power trio che si rispetti, e lingua al vetriolo per questo brillante cinquantenne rinato dalle sue stesse ceneri. Stefano è una sorta di Ulisse che, tornando dal suo lungo viaggio infernale, non trova la sua Penelope artistica Walter Somà ma Fabio Capalbo. Il sound di Ragazza porno sfrutta un giro armonico che non sfigurerebbe in un CD degli ultimi Black Keys, il resto è rock che si fa il ruggito di tutti i reietti attraverso l’interpretazione vocale di questo fuoriclasse.
Ponendo l’accento sui testi, il compositore milanese sfrutta un gioco di chiaroscuri e ambiguità legato al suo moniker, mutuato da un antico poema ma anche sul nome della madre. I suoi personaggi sono femminili o più semplicemente mostrano il suo lato femminile il che giustificherebbe anche la dolcezza straripante di ogni brano. Peppa Pig, infilata nel CD su richiesta di un suo amico diventato da poco padre, mischia le esigenze sessuali di Rampoldi e l’incompatibilità con la religione Hare Krishna, passando attraverso Jimi Hendrix e i Verdena.
Edda è un personaggio scomodo per se stesso, per i nostri (poveri) cantautori italiani che si sentiranno piccoli a confronto, e per la musica tutta. Ha prodotto un disco che scandalizzerà per la sua naturalezza capace di dimostrare concretamente che l’evoluzione del rock, senza sfruttare i soliti cliché, è ancora possibile. Potrebbe addirittura scardinare le regole imposte dal mercato discografico perché lacera i preconcetti mostrando il fianco scoperto e paradossalmente diventa facilmente fruibile senza ricorrere a rime canticchiabili e radio-friendly. Mademoiselle ne è un chiaro esempio, ricorda nel rifferama Battle Without Honor Or Humanity e nel canto iniziale l’approccio di Jim Kerr e della sua Don’t You Forget About Me (Probabilmente per quest’ultimo accostamento il nostro ci verrà a cercare per ucciderci, anzi no forse scriverà una canzone su di noi il che è anche peggio).
Stefano ci rivela i bassifondi della sua anima che, indirettamente, è anche la nostra e le sue insicurezze elencando gli orrori di cui ci nutriamo nostro malgrado. La sua è una forza motrice a diesel, lenta e rumorosa ma molto potente e più resistente di qualunque altra. L’intensità vocale del suo canto si trascina dietro tutto, lasciando un grande vuoto e costringe a rivedere le proprie posizioni. È un continuo tramestio di sensazioni, di equilibri opposti che si attraggono e rimescolano tutte le certezze, costruite per la necessità di dare un senso a una vita altrimenti vuota.
|