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Va da sé che da quest’anno – e chissà per quanto tempo ancora - qualsiasi produzione artistica che abbia ‘hotel’ nel nome venga ricondotta automaticamente a 'Gran Budapest Hotel', il film. Ma se chiedete a Paolo Benvegnù se per 'Earth Hotel' si sia ispirato alla black-comedy di Wes Anderson, lui vi risponderà di no, chè l’idea gli era venuta prima che uscisse il film. Anche se poi uno dei brani che lo compongono si intitola proprio Stefan Zweig, lo scrittore austriaco cui la pellicola era dedicata.
Perché, in fondo, 'Earth Hotel' è un viaggio liquido e immaginario (ma con solidi riferimenti alla realtà) almeno quanto le sue opere. “Hotel Terra”, ma spostando una ‘h’ poteva chiamarsi benissimo anche “Hotel Cuore”, perché l’album parla dell’amore in ogni sua manifestazione. L’amore come lo viviamo tutti noi, che di questo hotel chiamato terra siamo clienti a tempo determinato, con date di check-in e check-out stabilite da qualcun altro.
Come un film, il disco è un concept che narra una storia. O meglio, tante storie. Dodici “mirabili miniature”, una diversa dall’altra, una più bella dell’altra. E come in un film, le immagini hanno lo stesso peso di suoni e parole. 'Earth Hotel' è un albergo immaginario che si trova ovunque e in nessun posto. Apolide e cosmopolita, come le anime che lo affollano. Ogni canzone è una camera, e ogni camera il racconto di una vita. Dal settantesimo piano al primo, e poi di nuovo su e giù in un ideale ascensore emozionale che ci porta nelle stanze infinite dell’anima e del cervello. Anche se 'Earth Hotel' non è un disco cerebrale ma puro istinto. Vi si alternano giorno e notte, ora e sempre, alba e tramonto, classico e moderno, “grida al cielo e sussurri nell’ombra”. Antinomie che necessitano di molti ascolti per essere comprese appieno.
E non basta un oceano di parole, come l’inchiostro di Benvegnù è solito riversare nei solchi dei suoi dischi, a spiegare una tale complessità. Perché se è vero che musicalmente siamo dalle parti di certo indie-rock italiano arioso e barocco degli anni Novanta, di cui Benvegnù è stato uno degli esponenti maggiori coi suoi Scisma, sono i testi il punto forte. Tutti, infatti, sappiamo quanta importanza abbiano per lui le parole, e qui le partiture sembrano addirittura non riuscire a contenerle tutte. Ma non bisogna farsi ingannare dai sofismi. L’approccio letterario, colto, sapienziale, serve solo a disorientare, perché qui a farla da padrona è la poesia, che pure di parole si nutre.
Perché "'Earth Hotel' parla di amore nelle stanze. Ovunque. Di alberghi, di case, di transatlantici, di treni, di aeroplani ed automobili. Nello stesso istante. Che sia martedì o il giorno di un compleanno oppure l’anniversario della Prima Repubblica. Di ogni tipo di Amore. Quello di ogni tempo. Quello impastato di bene e male. Quello conscio e quello sbadato. Dedicato alle madri. Ai figli. A quell’eterno miracolo di vita che ci consuma”.
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