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Tutto cambia, tutto muta, dicevano i Greci. La resistenza al nuovo, però, a ciò che comporta mutamento, continua ad affliggere da svariate decadi anche la più prolifica delle società. Conservatori che si spacciano per rivoluzionari, anticonformisti che in realtà, più di tutti, si dimostrano conformi alle regole. E gli artisti, spesso, non sono da meno. Abbarbicati agli sfarzi di un'ormai perduta giovinezza, diventano maschere di se stessi, generando una noia condivisa. Ma qualcuno immune a tutto questo c'è; qualcuno che del "cambiamento", del puro trasformismo ha fatto la propria filosofia di vita. Un nome a caso? Senza dubbio David Bowie. La proposta musicale del Duca Bianco è da sempre, infatti, futuristica, lungimirante e, soprattutto, scevra da limiti e condizionamenti esterni.
Ne è l'esempio tangibile 'Nothing Has Changed', triplo disco uscito lo scorso 18 novembre, che raccoglie ben cinquant'anni di carriera dell'artista britannico, dal 1964 al 2014. Intervallato da rimasterizzazioni, pezzi del passato mai pubblicati (Let Me Sleep Beside You) e rivisitazioni (Shadow Man, Hallo Spaceboy realizzata con i Pet Shop Boys), troviamo anche il tanto atteso brano inedito: la jazzata Sue (Or In A Season Of Crime) collocata in apertura - perla di rara bellezza, prodotta da Tony Visconti e forgiata dalla New York's Orchestra di Maria Schneider - colpisce fin dalle prime note e sottolinea come il seme dell'improvvisazione non abbia mai abbandonato lo spirito dell'artista, che qui rende omaggio ai grandi crooner della musica anni '40, trasportandoci in un'atmosfera d'antan, già accennata nella indimenticata Absolute Beginners (per realizzare la quale Bowie collaborò col maestro della stessa Schneider, Gil Evans). Ma Il Nostro non flirta solo col jazz. Il rock, infatti, anche nelle nuove proposte, è comunque presente. Più intenso e dark rispetto a quello ascoltato nel precedente album ('The Next Day', ndr), viene concentrato nel b-side di Sue, 'Tis a Pity She Was A Whore e dimostra che il Duca Bianco, nonostante l'infinita discografia e i plurimi cambi di immagine, riesce ancora a sorprendere e a farci ascoltare qualcosa di assolutamente inaspettato. In generale, la vena artistica di Bowie sembra orientarsi sempre più verso vere e proprie rapsodie - con buona pace di Gershwin - , verso poemi musicali, costellati da sax, ottoni, piano, insomma, da innumerevoli strumenti che rendono i pezzi molto godibili, dal suono quasi ossessivo.
Tutto cambia, tutto muta, dicevamo. Di sicuro è finita l'epoca "luccicante", tutta lustrini e make up teatrali. Sono finiti gli eccessi, le stravaganze, ben visibili in passato mentre ora quasi assenti dal suo volto ritratto in copertina. È cambiata la sua voce, leggermente privata del fervore giovanile, ma comunque ancora intensa e toccante. Non è cambiato, però, l'approccio libero e, allo stesso tempo, finemente studiato della musica dell'ex Ziggy Stardust. Non è cambiato lo spessore artistico che si nasconde dietro ai suoi album, intrisi di collaborazioni assolutamente meritevoli. Il moto creativo di Bowie è inarrestabile: riesuma il passato (quello eccellente) per arrivare al presente e vola via sicuro sulle ali dell'avanguardia, senza sfociare nella celebrazione di se stesso. Perché ad essere celebrate in 'Nothing Has Changed', a conti fatti, sono solo la grandezza e la continua evoluzione della sua musica.
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