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Shintaro Sakamoto
Let's Dance Raw
2014
Other Music
di Valerio Di Marco
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Che Shintaro Sakamoto sia una specie di genietto appare chiaro fin dalle primissime note di questo disco che segna il ritorno sulle scene del cantautore e polistrumentista giapponese dopo il debutto in solitaria ”How To Live With A Phantom” del 2011. In solitaria perché Sakamoto una band ce l’aveva ma si è sciolta nel 2010, dopo ventuno anni di attività. Erano i Yura Yura Teikoku, nome che ai più non dice niente ma che ai cultori dell’indie giapponese farà drizzare le orecchie. In Giappone, del resto, erano un'istituzione e la loro miscela a base di psych-rock ha accompagnato perlomeno due generazioni di giovani nipponici tosti e incazzati. Ora però c’è lui da solo, Sakamoto. Che per capire quanto è bravo non bisogna per forza aspettare la settima traccia, You Can Be A Robot Too, vertice di un disco che annovera perle in serie. Basta infatti passare per Birth Of The Super Cult, Like An Obligation o la title-track per rendersi conto che si è al cospetto di una mente illuminata, eccentrica, visionaria, capace di cambiare registro come se stesse bevendo un bicchier d’acqua. I canoni sono stravolti. L'approccio è folle ma disarmante per naturalezza. Tipo non porsi limiti nel mutuare stili e riferimenti anche lontanissimi dal proprio ambito di appartenenza, oppure imparare a suonare uno strumento per il solo fatto che un certo suono starebbe bene nel tal punto di un tal brano. Semplice no? Ma già dalla copertina si capisce che si sta per entrare in territori sonori perlomeno anomali, con Sakamoto in versione “Skeletor” seduto su un trono sospeso per aria, la chitarra sulle ginocchia, e alle spalle quello che ha tutta l’aria di un fungo atomico a suggerire scenari post-Fukushima. E l’apocalisse passa per un mix di generi che magari col Giappone c’entrano poco ma che oramai vanno bene ad ogni latitudine, tra jazz-funk anni settanta, songwriting sopraffino e duetti al fulmicotone con voci robotiche animate dal vocoder che squarciano come coltelli la coltre di nubi nucleari sullo sfondo. Spettrale e perverso. Il tutto ammantato da un'aura esotica zeppa di suggestioni brasileire e sapori australi, tra bossanova, hula, congas e ritmi latini. Perché ad andare da una sponda all'altra del Pacifico ci mette meno la musica che l’acqua radioattiva.
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16/01/2015 -
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