|
BENVENUTO SU EXTRA! MUSIC MAGAZINE - La prima rivista musicale on line, articoli, recensioni, programmazione, musicale, eventi, rock, jazz, musica live
|
|
|
|
|
|
Colour Haze
To The Highest Gods We Know
2015
Elektrohasch Records
di Giuseppe Celano
|
|
In Europa i tedeschi hanno una marcia in più, non è solo una questione economica e sociale. Anche in campo musicale i crucchi sfornano band seminali come i Colour Haze che, in questo gennaio del 2015, producono 'To The Highest Gods We Know', undicesimo album nel loro ruolino personale.
Per chi non li conoscesse bene o addirittura per niente (vergogna) basti sapere che Stefan Koglek (chitarra e voce), Phlipp Rasthofer (basso) e Manfred Merwald (batteria) fanno parte di quella corrente krautrock dispensatrice di stoner psichedelico dalla chiara matrice Seventies. I loro dischi sfoggiano composizioni molto lunghe, l’utilizzo parsimonioso della voce cede lo scettro alla dominanza assoluta degli strumenti dei quali ognuno dei tre è virtuoso. Dimenticate quel tipo di autocelebrazione tecnica fine a se stessa, i Colour Haze amano le jam se sfruttano introduzioni dilatate per poi esplodere, nella sezione centrale, in un universo policromatico progettato e prodotto dalla chitarra di Koglek. Il sound, da 'Chopping Machine' fino a quest’ultimo lavoro, si è aperto lentamente alla melodia ma profondamente sepolta nel missaggio e sfigurata dall’utilizzo di effetti e accordature ribassate.
Anche stavolta la band tedesca prova a vivere in equilibrio fra parti hard e psichedeli(ri)smi efficaci ma, a differenza dei precedenti lavori, stavolta non tutto il disco è a fuoco (Uberall), anche il singolo sfrutta lo stesso giro melodico presente in Tempel. Al trio è mancata quella marcia in più che li ha costretti a ripiegare su lidi sicuri per la prima metà del nuovo lavoro. Buona l’opener Circles, il suo giro di accordi azzeccati lascerebbe ben presagire sin dai primi vagiti ma per qualcosa di diverso bisogna attendere l’arrivo di Call, intorno al ventesimo minuto. Nove minuti fluttuanti, armi automatiche cariche a dovere per una potenza di fuoco distorta, ricca di reverberi e compressori. Li immaginiamo dal vivo mentre si avvicinano alle pedaliere per i tre minuti finali dell’arringa sonica finale.
Chiudono i dodici minuti della titletrack To The Highest Gods We Know, una sfuriata acustica ibrida fra Space Cadet (Kyuss) e archi di memoria kashmiriana il cui pathos ricorda Cling, conclusiva track del primo album dei Days Of The New.
Il 10 marzo, in azione sul palco del Lo-Fi (Milano)insieme ai Radio Moscow, sapremo la verità ascoltando gli arrangiamenti dei nuovi pezzi.
|
|
//www.youtube.com/embed/RZgun2ez4nQ
28/01/2015 -
©2002 - 2025 Extra! Music Magazine - Tutti i diritti riservati
|
|
|
|
|
©2002 - 2025 Extra! Music Magazine - Tutti i diritti riservati
|