|
Dici Captain Beefheart e la mente va subito a 'Trout Mask Replica': monolite di ottanta minuti immancabile in ogni collezione di dischi degna di tale nome, ma anche album di difficile fruibilità, che rifugge qualsiasi tentazione melodica e strapazza le orecchie dell’incauto ascoltatore con uno stream of consciousness di ritmi spezzati, “chitarre grattugia”, e strumenti che se ne vanno ognuno per conto suo mentre la voce del Capitano declama versi. In realtà un vero e proprio caos organizzato, col tiranno Don Van Vliet a dettare legge in studio di registrazione. E qualche volta, il blues che fa capolino spogliato delle coltri “free” (ad esempio in China Pig). Un viaggio tanto affascinante quanto estenuante: per alcuni, uno sforzo insostenibile, anche se non manca chi dichiara di intrattenersi piacevolmente con questo album quasi fosse un disco pop; gli stessi, probabilmente, che prima di cena fanno vedere ai figli opere quali 'Un chien andalou' di Luis Buñuel e li addormentano con gli Lp di Albert Ayler. 'Trout Mask Replica' è però solo un titolo, il terzo e forse il più noto, di quelli in elenco nella discografia di Beefheart, e il cofanetto quadruplo della Rhino, 'Sun Zoom Spark: 1970 To 1972', è arrivato nei negozi poco prima di Natale a ricordarcelo. Un’uscita da non perdere, che contiene gli album rimasterizzati 'Lick My Decals Off, Baby' (1970), 'The Spotlight Kid' e 'Clear Spot' (entrambi del 1972), un Cd di out-takes risalenti allo stesso periodo e un booklet purtroppo solo passabile.
I fan si leccheranno i baffi per l’ultimo dischetto, che offre inediti tra cui versioni strumentali e alternate take, ma a dire il vero il piatto forte rimangono gli album, soprattutto i primi due. Dedicando loro un po’ di tempo, si riveleranno uno scrigno di gemme grezze, in cui il blues e la voce ruvidi di Howlin’ Wolf si ibridano con la visceralità del free jazz di Ornette Coleman, prefigurano il Tom Waits più sperimentale (c’è già tutto il Waits più spigoloso nei due minuti di Woe-Is-Uh-Me-Bop), e creano sonorità che influenzeranno non poco numerosi artisti di ampie vedute (ricordiamo il tributo a Beefheart 'Fast’N’Bulbous', del 1988, con riletture eseguite, tra gli altri, da XTC, Sonic Youth e Scientists). Un mix davanti al quale si resta ancora oggi a bocca aperta, e che ci fa tirare il fiato solo di tanto in tanto, con brevi parentesi come lo strumentale One Red Rose That I Mean, la “ballata” Blabber’N Smoke, o la romantica My Head Is My Only House Unless It Rains (l’ultima, da 'Clear Spot', album più “addomesticato” e di certo il meno interessante del lotto).
Chi possiede già chicche quali il sostanzioso 'Grow Fins', box pubblicato diversi anni fa dalla Revenant, o l’eccellente antologia della Rhino 'The Dust Blows Forward', non negherà al compianto Van Vliet un po’ di spazio in più sugli scaffali. I deboli di cuore vedranno invece in 'Sun Zoom Spark: 1970 To 1972' l’ennesimo potenziale strumento di autolesionismo targato Beefheart da cui tenersi prudentemente alla larga.
|