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Ardecore come “hardcore”, ma anche “arde” il “core”. Quello di Giampaolo Felici e della sua creatura musicale che, a quattro anni di distanza dall’ultima prova in studio, torna in pista con ”Vecchia Roma”, più che un disco, una lettera d’amore alla Città eterna. Sette brani pescati quasi tutti dalla tradizione romanesca ante-guerra e reinterpretati in chiave moderna lasciando invariati i testi ma fluttuando liberamente nella scrittura musicale.
Insomma, se le parole appartengono alla “vulgata” (vallo poi a sapere chi le ha scritte), la musica ce l'ha messa lui, Giampaolo Felici, leader e fondatore della folk band romana che in dieci anni di attività ha ridato linfa al genere mescolandolo alle tendenze della musica contemporanea, rock, jazz e blues su tutte.
Qui però non era il caso di scrivere altri pezzi originali, cercando a tutti i costi di aggiungere nuove canzoni ad un repertorio che, al contrario, aveva solo bisogno di essere riscoperto. Per questo si è puntato sulla reinterpretazione di episodi poco conosciuti della cultura musicale di Roma, sette stornelli in rima tramandati nei decenni per via essenzialmente orale, qui ripresi e riarrangiati in modo inedito con un occhio al passato e l'altro a quell’approccio avanguardista che ha reso unico lo stile Ardecore.
Uno stile che, anche in questo caso, si è avvalso del contributo in studio di Geoff Farina, ex-leader della leggendaria band alternative-rock americana Karate, Giulio Caneponi alla batteria, Riccardo Del Monaco al piano e la cantante Sarah Dietrich, presente in alcuni cameo.
Il tutto a rendere corposo questo splendido affresco che attinge a periodi diversi della storia di Roma. Delle sette tracce presenti, sette cartoline sbiadite che raccontano una città che non c'è più, solo quella che dà il titolo al disco è stata composta nel 1947, dopo la fine della seconda guerra mondiale. Gli altri episodi sono più lontani nel tempo: Pupo Biondo e Serenata Sincera sono due fra i più noti del repertorio tradizionale, mentre Girasole, Signora Fortuna, Serenata a Maria e Serenatella Amara, meno conosciuti, riportano alla luce un'immagine sensibile di una romanità dimenticata, stravolta dalla velocità di un mondo cambiato profondamente. Perchè, Roma mia bella, «..er progresso t'ha fatta grande ma sta città nun è quella 'ndo se viveva tant'anni fa».
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