|
Il dialogo musicale tra il Continente Europeo e quello Africano ha trovato, in questi ultimi anni, nuove vie e punti d'incontro, concretizzatesi, materialmente, in una sempre più rigogliosa produzione discografica, figlia dei progetti transcontinentali più diversi. Centro nevralgico per la diffusione e la pubblicazione di quest'ultima è senza dubbio la Glitterbeat, benemerita etichetta che, al grido di “Vibrant Global Sounds”, all'Africa, fin dalla sua nascita, è indissolubilmente legata. Grazie al prezioso patrocinio di quest'ultima sono venuti alla luce autentici tesori sonici, provenienti perlopiù dalla sabbia del Mali, tra i quali, solo per citarne alcuni, i Tamikrest e Samba Tourè, moderni discendenti degli antichi griot, alla cui secolare opera hanno saputo attingere, attualizzandola, per raccontare con vivido sguardo di denuncia la triste situazione politica e sociale di un continente ancor oggi minato da fratricide guerre civili. Guerra che alcuni europei (il boss della stessa Glitterbeat, Chris Eckman, Hugo Race e Chris Brokaw) hanno coraggiosamente sfidato per andare ad attingere all'antica fonte musicale africana, come testimoniato dagli sbalorditivi album pubblicati sotto il nome Dirtmusic. Una fascinazione, quella per le sonorità ancestrali della Madre Africa, della quale sembrano essere rimasti vittima anche i Fofoulah, quintetto londinese che sul primigenio battito ancestrale di quest'ultima ha sapientemente costruito la propria ossatura percussiva, fondata sui poliritmici incastri tra il sabar (uno dei tamburi tradizionali delle tribù Wolof, stanziate in Senegal e Gambia, ndr) ed una più “occidentale” batteria, dando vita ad una riuscita contaminazione tra fascinazione afro-rock, algida elettronica, e pura improvvisazione free form. Musica tonitruante e viva, ideale colonna sonora di una città, Londra, complessa, culturalmente e non solo, in un dialogo aperto tra i suoni e le culture più diverse, facendosi al contempo portatrice di profondi messaggi politici e sociali.
Registrato presso i prestigiosi Real World Studios di Bath, e prodotto da Dave Smith, che degli stessi Fofoulah è anche batterista (oltre a sedere dietro ai tamburi nei Sensational Space Shifters di Robert Plant, ndr), l'esordio sulla lunga distanza dei cinque rappresenta al meglio una costante evoluzione giunta oggi a ragguardevoli vertici espressivi come ribadito da brani quali una speranzosa No Troubles, posta in apertura, e una più combattiva The Clean Up, sincopati afro-funk, irrobustiti dalla inesauribile spinta propulsiva del sabar di Kaw Secka, o una Fighting Chance dove su di un glaciale tappeto sintetico vanno ad infrangersi le rutilanti figurazioni ritmiche dei tamburi. Mirabile è altresì Reality Rek, ovvero il John Coltrane di “A Love Supreme” smarritosi tra la polvere del deserto maliano, e rievocato, come in una sorta di trascendente seduta spiritica dal sassofono di Tom Challenger, impegnato in una strenua lotta con il reiterato, ipnotico rifferama di Phil Stevenson e il mantrico salmodiare del cantante senegalese Batch Gueye. Contributi “esterni”, quelli davanti al microfono, di primo piano, come nel caso di Juldeh Camara (già compagno di Smith proprio nei Sensational Space Shifters oltre che nei JuJu) nella frenesia sciamanica di Hook Up, o di, un sempre ispirato, Ghostpoet a porre il proprio personale e riconoscibile marchio urbano nelle desolate visioni desertiche di Don't Let Your Mind Unravel, Safe Travels. Un omonimo esordio che è un vero e proprio manifesto programmatico; una precisa dichiarazione d'intenti, ovvero quella di voler travalicare, attraverso la propria musica, barriere culturali e geografiche, in una nuova, comunitaria, concezione sonora che merita senza dubbio d'essere scoperta e approfondita.
|