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Se si analizzasse ”Perfect Laughter”, il nuovo album dei Sycamore Age, da un punto di vista filosofico, potrebbe definirsi un viaggio nelle profondità dell’inconscio, ma anche del subconscio, una contraddizione, un non-sense, perché ispira emozioni e pensieri che vengono confutati brano dopo brano, per arrivare alla conclusione che niente è uguale a se stesso, tutto è mutevole, tutto è in divenire, ergo, non può essere classificato sotto un’unica esperienza. Tradotto in maniera puramente tecnica, il terzo lavoro dei Sycamore Age è un’ottima conferma delle qualità della band aretina, anzi si spinge molto più in là, sperimenta, alle volte azzarda: spazia da un genere musicale all’altro, ogni brano è una scoperta, perché rende “Perfect Laughter” difficilmente catalogabile, si va dal pop, alla psichedelia, dal post-punk ai ritmi esotici. Undici pezzi, in cui ognuno è una storia a parte, ognuno è una reminiscenza di artisti più o meno attuali. Noise of Falls, mi suggerisce John Lennon, o i Genesis. Con Behind the Sun non posso non pensare ai Radiohead; un altro brano da tener presente è Monkey Mountain che chiude il disco. Ma per i Sycamore Age essere sperimentatori non significa limitarsi semplicemente alla commistione di sonorità, anche e, soprattutto, alla scelta degli strumenti, usati, molti dei quali non proprio convenzionali, infatti, hanno deciso di inserire anche degli oggetti comuni, casalinghi a supporto della ritmica generale. “Perfect Laughter” ricerca nuove sonorità, qualche volta troppo esasperate che tendono a farlo risultare nel complesso poco omogeneo. Questo il punto debole di un lavoro molto buono, con alcune track eccellenti, che risaltano sulle altre, in cui la sperimentazione diventa un voler strafare. Per essere alternativi non bisogna, necessariamente, mettere troppe cose insieme, anche perché tutto è già stato sentito e presentato da altri, quindi sperimentare, oggi, significa solo “rivisitare” quanto è già avvenuto nel passato, ma ben venga, significherebbe non arrendersi ai cliché, agli standard attuali di coloro che sfornano canzoni nemmeno fossero prodotti in franchising. Oggi, azzardare a presentare sul mercato qualcosa che non rientra nei canoni degli ascoltatori di massa, vuol dire essere relegato ai margini di quell’industria musicale immemore che i primi a sperimentare, ed al contempo, a vendere milioni di dischi sono stati proprio i Beatles.
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