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Fuori dai denti: le sonorità pacate di 'Stuff Like That There', un po’ noiosette, fanno pensare a un passo indietro compiuto dalla band rispetto al precedente 'Fade', dato alle stampe nel 2013. Gli Yo La Tengo festeggiano il trentennale di attività con un album che vorrebbe riproporre le atmosfere e l’impostazione di 'Fakebook' (riletture di altri artisti alternate a pezzi propri), ma qualcosa non funziona.
Mancano il brio di brani quali The One To Cry, il passo felpato di The Summer, la spensieratezza della sbarazzina Emulsified. Il country, lì rappresentato da interpretazioni quali Tried So Hard, Griselda, una sorta di filastrocca giocosa, e Here Comes My Baby, nel nuovo disco ha le vesti di Butchie’s Tune (dei Lovin’ Spoonful), Friday I’m In Love (rivisitazione dei Cure non troppo entusiasmante), My Heart’s Not In It (non male). La celebre I’m So Lonesome I Could Cry, di Hank Williams, viene invece un po’ vivacizzata, e trasformata in una canzone che, per i toni soffusi, finisce per assomigliare a troppe altre inserite in 'Stuff Like That There'. Certo, qualche zampata il gruppo la mette a segno: stiamo comunque parlando degli Yo La Tengo, artisti tutt’altro che bolliti, capaci ancora dopo tutto questo tempo di dimostrare il proprio valore e, importantissimo, una ancora irrefrenabile passione per la musica che travalica i generi. Ecco allora, bellissimi, la grazia di Rickety (una sorella di Little Eyes, da 'Summer Sun', 2003), la delicatezza di Before We Stopped To Think, il gusto rétro di I Can Feel The Ice Melting (brano migliore dell’LP?). Colpevolmente assenti, con qualche eccezione, composizioni in grado di dare vitalità a un’opera troppo monocorde. La band avrà la possibilità di rimediare all’errore durante le esibizioni di ottobre. L’attendiamo fiduciosi...
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