|
Ci è voluto del tempo per trovare il bandolo della matassa di questo pirotecnico 'Garden of Delete' (G.o.D.) settimo album, e seconda prova per Warp, dopo l'ottimo 'R Plus Seven' (2013), di Oneohtrix Point Never, al secolo Daniel Lopatin, cognome da rivoluzionario e primo traduttore russo del 'Capitale' di Karl Marx, trentatreenne (25 luglio 1982) raffinato compositore di musica elettronica, metà del fu duo Ford & Lopatin, stanziato a Brooklyn, quella malinconica e poeticamente esplosiva narrataci da Jonathan Lethem nella sua fortezza della solitudine.
Ma il bandolo non si è trovato, data l'iridescente massa aggrovigliata di sonorità incapaci di essere nominate, perché forse ancora non esiste una sintassi adeguata all'inventiva di Oneohtrix Point Never. In rete circolano descrizioni e definizioni iper-impressionistiche, che lo stesso Lopatin ha contribuito ad alimentare: cybernetic rock, hypergrunge e amenità varie.
'Garden of Delete (G.o.D.)' è una sorta di concept album di 12 brani, per 45 minuti di immersione sonora intorno all'eroe immaginato e immaginifico, il giovane alieno Ezra, titolo del primo pezzo dopo l'intro, subito immersi in arpeggi e loop che ammiccano alle recenti produzioni del brillante compagno di cordata Hudson Mohawke, prima di precipitare in parentesi da virtuosismi post-progressive. Ma poco dopo ecco arrivare Sticky Drama: partenza con campionamenti vocali e synth distorti, per perderci in un imbuto sonico con pulsioni nu/death metal, con tanto di cavernose urla da grand guignol metallaro e un incendiario video da oscure pustole e posse adolescenziali. La calma apparente di SDFK ci coccola, per un minuto o poco più, perché si interrompe proprio mentre riparte la distorta cavalcata hard rock. Mutant Standard è la suite di 8 minuti che incede come un pezzo partorito dalla mente del geniale anticipatore dell'elettronica che verrà Adi Newton (Clock Dva e TAGC/The Anti Group con Anterior Research), per sprofondare in successive accelerazioni circolari. Mentre Child of Rage è la nera calma celestiale interrotta da abortite bordate rumoristiche che cominciano a ricordarci clash sonori e loop di provenienza Coil, dei tempi dell'immenso 'Horse Rotorvator' (1986), reminiscenze rintracciabili anche in alcune inframezzate distorsioni di Freaky Eyes, nel suo organo avvitato e nei continui inserti campionati. Perché la voce frammentata di “Ezra” continua ad attraversare gran parti delle partiture, come Animals liturgica sinfonia notturna e le tastierone di apertura, prima dei soliti, deliranti, trip concentrici di I Bite Through It, aperti da squarci pericolosamente coatti, che mantengono il mood tra raffinata ricerca sonora e corrosiva ironia meditabonda, da sapiente iconoclasta, che Lopatin dispensa a piene mani. Postura mantenuta con gli ultimi due pezzi, Lift e No Good, sempre sospesi tra scurissima materia elettrica e cangianti squarci da distorto hyper-rocker.
'Garden of Delete' di Oneohtrix Point Never è una summa sonora degli ultimi trenta anni di musica elettronica (qualsiasi cosa voglia dire “musica elettronica”!), nel solco di alcune ascendenze à la Trent Reznor/Nine Inch Nails (da qui la passione per i Coil, vera passione, anche esistenziale, di Reznor?) declinanti in chitarrone rock, con intenti che appaiono a tratti parodistici, però. Forse proprio per questa sapiente e onnivora bulimia sonora 'G.O.D.' appare, insieme al già ricordato 'Lantern' di Hudson Mohawke, uno dei migliori lavori del 2015 e si inserisce in quella irregolare genìa di distopici cantori della contemporaneità che accoglie già Gaslamp Killer, Flying Lotus e, l'oramai troppo silente, Gonjasufi.
|