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Arrivati al terzo capitolo del loro ruolino personale, gli Spidergawd sputano fuori un album mostruoso. Sebbene siamo solo a gennaio è da infilare velocemente, e senza dubbio alcuno, fra le opere più importanti di questo nefasto 2016 che si è portato via Lemmy, Bowie e Glenn Frey. E siamo solo all’inizio, mancano ancora 11 mesi alla resa dei conti. L’incipit di ”III” è affidato a No Main’s Land, potente e cristallina cavalcata dal rifferama torridamente blues, forte della ritmica granitica di Kenneth, dallo sguardo allucinato, le cui bacchette percuotono le pelli per continui pattern esplosivi. È hard rock di quello buono, non autocelebrativo, e sebbene durante l’assolo Per Borten prenda a piene mani dal glorioso passato del rock, omaggiando a Highway Star, sa anche dove volgere lo sguardo per incrociare quello del futuro. Le cose non cambiano (per fortuna!) in El Corazon Del Sol, rifferama muscolare e citazioni che vanno dai Thin Lizzy ai Deep Purple ma con una sezione melodica completamente diversa, condotta dal canto. E poi c’è quel sax in sordina, si fa strada lentamente senza risultare invadente aggiungendo un pizzico di erosione caustica in The Best Kept, summa di quanto finora espresso. Una fuga, a velocità sostenuta, in bilico fra Motorpsycho e la nuova creatura che si muove snella sfruttando una melodia capace di conficcarsi saldamente nel cervello. L’ossessione ritmica aumenta il suo peso schiacciante in The Funeral, altre pièce de résistance in cui il quartetto fornisce ulteriore prova di una crescita iperbolica. Spingono su ogni strumento, la voce urla la sua forza sui cambi di tempo, rallentamenti e ripartenze al limite del punto di rottura garantiscono la giusta dose di dinamicità necessaria per ottenere un groove letale. Sono partiti con molta calma gli Spidergawd, senza fretta di arrivare alla meta che hanno raggiunto comunque velocemente, guadagnando in fama e credibilità. Combo obliquo, sezione ritmica hard, chitarre blues e sax acido su cui si spalma la voce roca per melodie particolari, non scadono nella prevedibilità, in nessun caso (Picture Perfect Package). Ma è in Lighthouse che i nostri sparano un trittico micidiale, 14 minuti racchiusi dentro questa suite che si prende il lusso di scomodare mezza storia di questo genere attraverso riff arcigni, basso propulsivo e sezione ritmica bulldozer. Al terzo passaggio gli Spidergawd fanno un centro secco, il finale sabbathiano di Lighthouse Pt. 3 lascia presagire l’uscita di un quarto lavoro, stratosferico, che giustificherà l’utilizzo di “capolavoro” senza venir messi alla pubblica gogna e lapidati. Bomba!
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