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Finita l’avventura con gli Stooges, con i fratelli Asheton prima, con James Williamson poi, decisamente provato da una lunga serie di live show in cui dava assolutamente tutto se stesso, Iggy Pop ha pensato bene di concedersi un anno fuori dalle scene e di assoluto riposo. E’ diventato uno degli speaker più ascoltati della BBC6 a Londra, stazione radio per cui ha condotto diversi programmi di retrospettiva musicale. Ma in segreto stava già lavorando a quello che sarebbe stato il suo ultimo album, il canto del cigno dell’uomo di Detroit, musicista atipico e geniale che - a partire dalla fine dagli anni Sessanta - ha lasciato tracce indelebili nella storia del rock.
Non più heavy rock, genere musicale poco adatto a una persona che sta per compiere 69 anni d’età, ma un album fatto di canzoni, solide e intense, che sul piano interpretativo si collocano a metà strada fra lo chansonnier di 'Preliminaires' e 'Apres' e i dischi registrati a Berlino con David Bowie alla fine degli anni Settanta. Non è infatti un caso se una delle canzoni più belle dell’album si intitola German Days, un tributo a quei giorni con l’amico Bowie, recentemente scomparso, che tanto ha significato per Iggy, sia sul piano personale che artistico (gli ha insegnato a impostare la voce in maniera diversa).
Il nuovo album si intitola 'Post Pop Depression' ed è il frutto di una collaborazione durata circa un anno con Josh Homme, il leader dei Queens Of The Stone Age, che ha trovato anche due altri musicisti il cui apporto è stato essenziale alla riuscita del progetto: il tastierista Dean Fertita, sempre dei QOTSA e Matt Helders, il batterista degli Arctic Monkeys. Si potrebbe pensare ad una sorta di nuovo “supergruppo” rock, ma è stato proprio Josh Homme a scartare questa possibilità. L’album è interamente un disco solo di Iggy Pop che ha curato personalmente i testi e la struttura delle canzoni, anche se sul piano melodico e della ricerca di nuove armonie, la chitarra di Homme ha fatto sicuramente la sua parte.
Arrangiamenti tipici del “desert rock” californiano, intriso di richiami psichedelici, vanno a fondersi con le atmosfere cupe e i suoni ovattati dei giorni di Iggy a Berlino. E’ il caso di ballate memorabili come Break Into Your Heart e di Gardenia, i primi due brani presentati in pubblico, che sembrano fatti apposta per mettere in risalto le doti di crooner dell’Iguana. Si può ben dire che 'Post Pop Depression' cominci là dove finisce 'Lust For Life'. Dopo un lungo lavoro di preparazione, l’album è stato registrato in sole due settimane di lavoro al Rancho de La Luna, che è insieme la casa e lo studio di registrazione di Josh Homme, nel deserto, dalle parti di Joshua Tree. Il disco è a dir poco bellissimo, ricco di sfaccettature diverse, di richiami al passato ma anche di nuove sorprese. Le note ventrali di basso che introducono American Valhalla ti fanno capire con chi e che cosa abbiamo a che fare: Iggy si chiede cosa ci aspetta dopo questa vita terrena, parla della morte e della nostra condizione, fragile e incerta: “Non possiedo niente altro che il mio nome” recita mentre la band porta a termine il brano. Splendido anche il riff psichedelico di In The Lobby, un’altra “powerful ballad”, micidiale ed oscura. Atmosfere diverse invece su Sunday in cui il grande lavoro di Helders alla batteria arricchisce di ritmo una ballata ricca di interventi vocali e di sonorità a carattere cinematico che si sovrappongono al tema centrale cantato da Iggy. Vulture è invece l’unica ballata acustica presente sul disco: scarna, inquieta, lo-fi e con l’Iguana che parla ancora di morte e lo fa con tonalità disperate e temibili. German Days, come già accennato, è una ballata di grande respiro che ricorda i tempi di Berlino e che nasce da tutta una serie di riflessioni e di appunti su quel periodo che Iggy ha girato a Josh in fase di preparazione dell’album. Chocolate Drops è un altro piccolo capolavoro dal punto di vista musicale, un brano carico di atmosfera con quegli arrangiamenti che sanno essere insieme gustosi e carichi di tensione; la metafora “the shit turns into chocolate drops” è tipica di Iggy che non ci va mica leggero con la sua street poetry nei testi. Il disco si chiude con Paraguay, una rock ballad che è un saluto estremo, finale, da parte dell’Iguana di Detroit: è un pezzo talmente bello da far venire i brividi. Musicalmente impeccabile e con un refrain molto “catchy” , il brano è decisamente biografico e racconta del desiderio segreto di Iggy di partire, di abbandonare il mondo falso dello show biz, delle continue innovazioni tecnologiche, di un Sapere che azzera il vero sentire, e di andare lontano e vivere in pace in una capanna in Paraguay. La parte finale di quello che è l’ultimo brano dell’ultimo disco di Iggy Pop è uno spoken word carico di rabbia che emerge da un fraseggio chitarristico paranoico e nervoso che ricorda molto Caesar, il brano del 1994.
Album da possedere a tutti i costi, ultimo grido di rivolta di una delle poche leggende viventi del Rock.
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