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Daniele Silvestri
Acrobati
2016
Sony
di Valerio Di Marco
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Dopo la parentesi del progetto a sei mani con Niccolò Fabi e Max Gazzè, ma soprattutto dopo cinque anni la sua ultima fatica in solitaria, Daniele Silvestri torna con un album d’inediti a dir poco corposo. Settanta e passa minuti di musica condensati in diciotto brani, diciotto maschere che il cantautore romano indossa per raccontare e raccontarsi. Perché lui s’immedesima nei protagonisti delle sue canzoni fino ad assumerne le fattezze e farci venire il sospetto che un po’ di se stesso ci sia in ognuno di loro. Un ritrattista, ecco. Perché a lui interessa l’essere umano più che la natura. Che sia l'essere umano cittadino del mondo (La Mia Casa) o quello che vive rinchiuso in 24 metri quadri (Monolocale); quello pieno d'ideali (A Dispetto Dei Pronostici) o quello che si accontenta di non dimenticare il pin (La Mia Routine).
Oggi Daniele Silvestri è un artista che, nonostante i vent'anni e più di carriera, e pur senza tradirsi, sente ancora la necessità di cambiare pelle. Si spiega così la nutrita lista di ospiti che l'hanno accompagnato in questa avventura: Diodato, Roberto Dell’Era, Caparezza, Diego Mancino, Funky Pushertz. Apertura alle influenze esterne ma anche fedeltà ad uno stile, il suo, che ha fatto proseliti. Anticipato dal singolo Quali Alibi, che in radio avrete già ascoltato fino allo sfinimento, ”Acrobati” è un lavoro coraggioso che non punta a piacere ma a piacersi, senza però eccedere in narcisismi ma anzi rivelandosi ascolto dopo ascolto nelle sue stratificazioni.
Nessun brano particolarmente catchy, nessun episodio smaccatamente acchiappa-radio. Insomma non c'è una Paranza o una Salirò, ma un flusso calibrato di emozioni e sensazioni in cui momenti di riflessione si alternano ad episodi di puro svago, tanto per il gusto di suonare bighellonando tra i vari generi. E così al funk “rappato” di Bio-Boogie o allo swing strascicato de La Verità fanno da contraltare le tinte pop malinconiche della title-track e crepuscolari di Alla Fine (didascalicamente posizionata in chiusura); e agli esotismi di Pochi Giorni o allo spoken-blues di Tuttosport si contrappongono i gargarismi psichedelici di Come Se e l'intensità di Così Vicina.
Impegno e follia, rigore ed ironia: nel gioco degli opposti, l' ”uomo col megafono” si conferma ancora una volta un campione. Perché lui è un funambolo della canzone d'autore, magari dall'ispirazione un pò annacquata ma ancora capace di numeri d'alta scuola. E se i testi a volte tradiscono un leggero calo nella brillantezza, la scrittura - intesa come composizione musicale - è ancora forte.
Insomma se non è il suo disco migliore (per quello rimandiamo ancora una volta a “Il Dado” e “Sig. Dapatas”), sicuramente è il più coraggioso, considerato che dopo tutto questo tempo poteva starci la tentazione di ripetersi. E invece eccoci di fronte ad un lavoro più che dignitoso che si propone ancora di aprire nuove porte. Si spera solo di non dover aspettare altri cinque anni per richiuderle.
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11/04/2016 -
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