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The Brian Jonestown Massacre
Don’t Get Lost
2017
A Recordings / Goodfellas
di Giuseppe Celano
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L’universo dei Brian Jonestown Massacre non è grigio ma colorato da varie tinte fuoriuscite dai pensieri, vividi e malsani, di Anton Newcombe. Sono psichedelici e sicuri di sé (strafottenti se preferite) da infilare un opener di otto minuti intitolata Open Minds Now Close.
Per chi scrive, questo incipit dall’andatura sostenuta basta da solo per stilare una recensione più che positiva e a voi per tirare fuori la grana e pagare un biglietto per il paradiso artificiale. Giro di basso ipnotico, suoni vintage e chitarre slabbrate su ritmica propulsiva sono sporcate dalle tastiere onnipresenti su un accordo fisso che manda in cervello frantumi policromatici, proiettati verso lo spazio più profondo della propria coscienza.
Al secondo step, con l’arrivo di Melodys Actual Echo Chamber, sembra di ritrovarsi fra i meandri ovattati dei Massive Attack mischiati alle chitarre psicotrope dei The Tornadoes di Bustin’ Surfboard. Elementi new wave affiorano in Resist Much Obey Little per scivolare in velocità sulle atmosfere ovattate di Charmed I’m Sure. Si passa facilmente da strutture registrate con strumentazione vintage a elementi elettronici in salsa Pro Tools con una facilità imbarazzante.
Per Anton Newcombe e soci la cosa viene così facile da cambiare le carte in tavola ogni volta che ne hanno voglia ma senza cadere nella disomogeneità della confusione o in altre trappole del genere.
In Groove Is In The Heart la catarsi dope s’abbatterà lentamente sulle sinapsi costringendovi a sprofondare in una poltrona con un bicchiere di vino in una mano e una sigaretta geneticamente modificata nell’altra. Un lieve e piacevole senso di torpore vi lascerà privi di energie fisiche ma con la mente in fiamme, reattiva e pronta per l’incendio chimico che s’innescherà di lì a breve.
I Jefferson Airplane supervisionano tutto dall’alto controllando nota per nota che l’atmosfera non scada nel banale fino all’arrivo di Throbbling Gristle. Con quel titolo aggiungere altre parole sarebbe superfluo e offensivo. Ascoltatela, a vostro rischio e pericolo sia chiaro. Inutile continuare a sfornare nomi di rimando per esaltare le doti di questo combo, le canzoni parlando da sole per più di un’ora di trasfigurazione psicofisica (Fact 67).
Una spruzzata di dark e qualche scoria Joy Division per un album nero abbastanza da mandarvi in introspezione ma senza incupirvi più del dovuto.
Don’t Get Lost è pregno di mal de vivre ma non abbastanza da ferirvi in modo letale. Alcuni passaggi meno p(sico)ro attivi potrebbero far affiorare qualche segno di cedimento (Acid 2 Me Is No Worse Than War) o di noia (Dropping Bombs On The Sun) ma di fronte a Ufo Paycheck (una sorta di Orion dei Metallica rivisti da Dj Shadow in super acido) e Geldenes Herz Menz, dalle trame easy jazz, non c’è scampo.
A pochi minuti dalla fine s’inventano una paraculata sulla trama di Johnny B. Goode che li abbracceresti tutti, allo stesso tempo gli frantumeresti quelle teste bacate per sana invidia, a un comune mortale non verrebbe mai in mente di fare una cosa del genere.
GENI.
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13/02/2017 -
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