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Spidergawd
IV
2017
Stickman
di Giuseppe Celano
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Gli Spidergawd sono tornati per rimanere, impressi nelle vostre povere orecchie già martellate da robaccia, con la differenza che con il nuovo materiale il problema non si pone neanche perchè è piacevolmente esplosivo tanto quanto sincero. L’effetto perforante della sezione ritmica servirà da trivella ripulitrice della mente obnubilata da tutta la spazzatura raccolta in giro.
Partono in quarta con questo poker intitolato semplice IV (mi ricorda qualcuno che montava un dirigibile in ascesa verticale un quarantennio fa) con l’opener Is This Love? che tira in ballo i Thin Lizzy nel riff portante fino all’arrivo dell’assolo, arricchito di pentatoniche in bending tirato a lucido. Ci siamo, la band non ha perso un filo di smalto, anzi ha fatto un lungo balzo in avanti.
A quota due praticamente si vola sulle strutture già depositate dalla mente malata di Ritchie Blackmore, periodo Burn/Stormbringer, con qualche svisata hendrixiana che mai nuoce nelle sapienti dita di Rolf Martin Snustad. IV è un disco del ritorno al futuro (passatista), guitar seventies oriented ma senza perdere quella spinta propulsiva e obliqua che il combo ha da sempre sfoggiato.
Li avevamo già visti in azione, a Milano, dopo il cambio di testimone al basso, lasciato da Bent Saether a favore di Hallvard Gaardløs. Ballad of a Millionaire sembra, e dal titolo ci sono buone possibilità che lo sia per davvero, un omaggio ai Queens Of The Stone Age. Take oscura, si stempera sul finale in dissolvenza lasciando solo la necessità di rimettere play al più presto per cercare di comprendere, cosa poi non si sa.
Ripartenza al fulmicotone per What You Have Become su pestate potenti di Kenneth, basso compressore e chitarre in contrappunto che segnano sull’assist di Pete. Gli ingressi delle chitarre sono qualcosa d’imprevedibile e piacevolmente eccitante. Un incipit torbido e fangoso come il Mississippi introduce The Inevitable, più di otto minuti melodicamente macchinosi, imprevedibili nella mutazione. Dopo questo balzo, il brano ritorna su tematiche psicotrope attraverso l’assolo, padrone assoluto della sezione centrale vicina a Manifet Destiny Pt. I dei Rival Sons. Tremolo, delay e bending imbiondiscono le chitarre mentre gli altri strumenti abbassano i volumi in rispetto della melodia prodotta da questa potente ascia a sei corde.
La conclusiva Stranglehold (feat. Erlend Kvelertak Hjelvik) inizia sul feedback vibrato di Foxey Lady mentre il rifferama potrebbe ricordare ZZ Top in primis e Ac/Dc a seguire per gli effetti scelti dal chitarrista che sulle ribattute centrali scomoda Jimmy Page.
Il voto è nove, si nove tondo
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27/02/2017 -
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