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A un anno e mezzo dall’uscita di 'Inflamed Rides' e con ben due anni di tour alle spalle, compresa una data italiana a Roma dove hanno dimostrato di essere solidi come granito, gli O.R.k. producono 'Soul Of An Octopus', diapositiva di una formazione assai collaudata, forte di un amàlgama resistente e idee ben chiare.
Se per un momento avete anche solo pensato che la band fosse frutto di una collaborazione estemporanea, che si sarebbe dissolta dopo l’esordio, be' vi siete sbagliati: a quanto pare Carmelo Pipitone, Pat Mastelotto, Lorenzo Esposito Fornasari e Colin Edwin sono tornati per restare.
Mixato dall’ingegnere del suono Marc Urselli (Zorn, Patton, Sting, ZZ Top) e masterizzato da Michael Fossenkemper al Turtletone studio di New York, il secondo capitolo della serie sfoggia una grafica (Nanà Oktopus Dalla Porta) su sfondo nero con immagini in azzurro e scritte verde acido. Su tutto torreggia la figura di questa piovra, che ricorda lontanamente il signore degli abissi Chtulhu, i cui tentacoli rilasciano le prime note di Too Numb, opener che potrebbe ricordare negli arpeggi centrali gli intricati giochi olimpici fra le chitarre di Fripp e quelle di Adrian Belew, supportate dal drumming possente e sicuro di Pat Mastelotto. Nella successiva traccia si aprono altri scenari su oscuri riff blues elettroacustici e basso claustrofobico (Collapsing Hopes).
Che i membri della band abbiano diverse storie, e provengano da background molto distanti fra loro, è superfluo sottolinearlo. Queste differenze sono il segreto che li spinge a una continua ricerca che gli permetta di combinare chimicamente, attraverso una strada del tutto personale, i vari elementi senza che collassino. Si gioca su pattern ritmici cangianti in contrappunto alla voce rocciosa di Fornasari che si muove agilmente su più strati.
L’esperienza di Lorenzo con la cerebrale macchina Obake, presente nei riff secchi e pesanti degli stacchi subito sostituiti dall’elettronica di Searching For The Code, rimane indiscutibilmente viva risalendo la china dopo i precedenti step introduttivi, più morbida e delicata. Passaggi più corposi in Dirty Rain richiamano alla mente progressioni à la Porcupine Tree e andamenti paratooliani. I brani fluttuano fra metal prog, free jazz, progressioni heavy in salsa elettronica. I nostri, le cui spalle sono larghe e forti di una capacità tecnica non comune a molti, rivestono i brani di un’armatura compatta per affrontare la pressione marina degli abissi al cui varco li attenderà, probabilmente, il mostro partorito dalla mente di H.P. Lovecraft (Heaven Proof House).
Improvvisi cambi di registro e, ça va sans dire, di tempo modellano il sound di 'Soul Of An Octopus' che sempre meno volte cade nella trappola di qualche esercizio di stile legato alle code non del tutto a fuoco (Just Another Bad Day).
A proteggere il tutto dall’involuzione ci pensa l’eccelsa tecnica, la capacità di infilare elementi disturbanti d’elettronica e la scelta di non scimmiottare nessuno grazie alla policromatica voce di Fornasari che bene si staglia sul resto delle nuove trame.
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