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I dischi di Edda sono strane creature, inafferrabili e cangianti come il personaggio dalla cui mente scaturiscono. Profondità e leggerezza vi si scontrano creando nubi soffuse di pulviscolo denso ma intangibile. Lo stesso effetto che si ottiene accostando le due parole che formano il titolo del suo quarto full-lenght solista: un ossimoro, forse, ma con licenza di contraddizione.
Sarà per la sua voce stridula e penetrante, sarà per le melodie suadenti ma a tratti dissonanti, sarà che appena ti convinci che tutto stia filando secondo copione, la scheggia impazzita parte all'improvviso e si conficca nelle intercapedini di quel castello di certezze che ti eri costruito, minandolo dalle fondamenta.
Insomma, l'ex-Ritmo Tribale fa tutto meno che rassicurare. Ma in musica, e nell'arte in generale, mettersi in discussione è la via alla santità. Una via che lui ha deciso di percorrere in posizione scomoda, a partire dal primo album in solitaria, Semper Biot, arrivato dopo il lungo periodo per lui di travaglio seguito all'uscita dalla band che aveva cofondato in pieni Anni '80.
Si era messo a nudo (“biot”, appunto, dal dialetto milanese) allora e continua a farlo adesso. Qui però siamo al di sotto delle vette compositive che caratterizzarono quel fulminante esordio acustico, e a ben vedere anche dagli standard emozionali raggiunti con Odio I Vivi e Stavolta Come Mi Ammazzerai ?. Tuttavia, sempre di scrittura di pregevolissimo conio si tratta. E le intuizioni non mancano. A partire da Zigulì, il brano migliore del lotto, una palla di pongo che resti lì a cercare di dargli una forma pur sapendo che una forma precisa non l'avrà mai. Ma anche Spaziale, la cui overture intimista si trasforma in crescendo epico, o la cavalcata gipsy-folk di Arrivederci a Roma, hanno il loro bel carico d'originalità.
L'impianto in generale è sostanzialmente pop-rock e a tratti tornano alla mente i Radiohead periodo The Bends/Ok Computer, ma l'aria che vi si respira è densa di aromi promananti dall'età dell'oro del cantautorato nostrano, quel patrimonio risalente agli Anni '60 e '70 che tante, troppe volte abbiamo deturpato con pallide imitazioni di epigoni meno che mediocri.
Edda invece, anche se non ai massimi livelli, la mediocrità non sa nemmeno cosa sia. Riesce a confezionare un' opera stratificata ma accessibile, raffinata ma pop(olare), dove tradizione e modernità, dolcezza e spigolosità, fanno il gioco degli opposti che finiscono per sposarsi. Il sound è pieno, corposo, arricchito da archi e fiati, e con quel pizzico di elettronica che ci sta alla perfezione. La produzione, inoltre, affidata ai soliti Luca Bossi e Fabio Capalbo, conferisce al tutto la levità di quei lavori che sembrano semplici ma ti chiedi dove stia il trucco.
Di primo livello anche gli ospiti ad arricchire il disco: Federico Dragona dei Ministri e il cantautore Giovanni Truppi.
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