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Avevamo già incrociato la strada degli Jü che a loro volta avevano incontrato Moster, sempre su Rare Noise Records.
Oggi il power trio ungherese produce Summa, un nuovo lavoro che prevede la partecipazione del sassofonista Kjetil Moster in un solo brano, posto al quinto gradino della setlist.
L’inizio è folgorante, poliritmie assortite in fase ossessiva e tribale fino allo stacco chirurgico guidato dal basso. Le chitarre fanno capolino molto lentamente prima che il brano muti pelle e si dipani solo nella coda conclusiva.
Come il caos, dopo l’esplosione del bing-bang, anche per Lady Klimax ci vogliono parecchi minuti prima che la coltre s’assottigli mostrando l’anima della band, impegnata in trame free jazz, disarticolazioni e allontanamento dalla forma canzone.
Le antenne si drizzano sul finale in cui le chitarre à la Mike Stern, in flirt con John McLaughlin, partono per spirali jazz di non facile fruizione ma la cui risultante è uno spettacolo di rara classe per le orecchie.
La situazione migliora complicandosi ulteriormente con l’arrivo di Socotra, traccia infernale che non lascia il tempo di respirare. Tutta giocata su ripetizioni ossessive atte a costruire un muro di suono claustrofobico, fatto di saliscendi e cambi di tempo psicotici.
È roba dissonante, scritta per non compiacere nessuno, il bandolo della matassa è ben nascosto fra le complesse trame. Per entrare nel disco bisogna solo lasciarsi trascinare dal flusso, senza riporre aspettative sulle aperture melodiche che qui sono relegate profondamente nel buio del songwriting.
Ottima la titletrack, dieci minuti per una suite cangiante che sfoggia passaggi più ambientali a serrate sezioni jazz.
Summa è frutto di ben cinque giorni di lavoro necessari per moderare le parti improvvisate fondendole con le sezioni stilisticamente rigorose. A differenza del passato questo è un lavoro più studiato, costruito in sala di registrazione, più lento rispetto al solo giorno impiegato per la registrazione di Jü Meets Moster, del tutto imputabile alla band nonostante la presenza di Kjetil possa ingannare.
Approccio fresco, velocità assassina in Keltner e Partir, fatte di partenze brucianti e stop and go arricchite con potenti iniezioni di post punk metallico e dissonante.
Catalogare la band non è impresa facile, amano spaziare fra i generi, forti di una tecnica di fine grana producono passaggi puliti e armonici contrapposti a sezioni possenti, iper distorte e reiterative. Non disdegnano il punk e le svisate in metallo scintillante, il tutto guidato dal rigore jazz rintracciabile nell’indiavolata My Heart Is Somewhere Else.
Summa è un album indigesto, spigoloso e dal carattere difficile, non si lascia imbrigliare, non fa nulla di appiccicoso per piacere. Sfregia la melodia con ancestrali anthem di animo folk (Sinus Begena) ma di struttura plumbea per una band che sa come manipolare la materia corrosiva quanto basta per sturarvi le orecchie, liberandole dalla polvere accumulata dagli ascolti di dischi adatti alla prima comunione (Mongrel Mangrove)
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