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Jamie Saft ha sempre gravitato nell’universo della Rare Noise Records, come leader di New Zion w. Cyro e membro di The New Standard, passando per Wadada Leo Smith e Roswell Rudd. Con Serenity Knolls però cambia registro addentrandosi in un territorio profondamente differente.
È un progetto intimo in duo con il chitarrista Bill Brovold, membro della band no wave Rhys Chatham Ensemble, della East Village Orchestra e degli Zen Vikings. Si viaggia su un tappeto di suoni elettroacustici prodotti da dobro e lap steel guitar che si alternano su dodici tracce sospese fra bluegrass, psichedelia e ambient.
Se l’habitat di Saft è stato da sempre quello della composizione con piano e tastiere analogiche, oggi il musicista cambia banco di prova infilandosi negli spazi fra le sei corde sfruttando la sua esperienza accumulata al fianco di John Zorn (The Dreamers, Electric Masada e Moonchild). Saft ha suonato inoltre in vari dischi fra cui Breadcrumb Sins (Tzadik), Sunshine Seas (RareNoise) e Black Shabbis (Tzadik). Per accompagnarlo ha scelto un altro chitarrista, maestro dell’improvvisazione, costruttore di strumenti e leader dei Larval: Bill Brovold.
Nei nove minuti iniziali di Sweet Grass, fantasmi s’affollano nei vasti e desolati panorami americani, un profondo senso di pace e solitudine assale l’ascoltatore che si ritrova proiettato a migliaia di km dal posto in cui sta ascoltando questo disco. Se avete bisogno d’emozioni forti, impatti violenti, distorsioni e diavolerie elettroniche che colpiscano la vostra attenzione non è qui che vi dovete rivolgere. Immaginate invece d’essere in pieno inverno, in un fine settimana a cui siete arrancati in debito d’ossigeno. e che il vostro unico desiderio sia di passare un’ora in santa pace. Allora sì, questo disco fa per voi. I movimenti della trama sono lenti, il suono è un sussurro fatto di poche note perlopiù improvvisate (Saddle Horn).
Il compositore è stato affascinato dalla slide fin da giovane, soprattutto grazie all’influenza della musica di Bob Dylan che gli aprì le porte del mondo country e del bluegrass, adorato da Jimi Hendrix il cui spirito in qualche modo vive fra la leggiadria sinuosa della delicata No Horse Seen. Più che emulare, interiorizzando, dei modelli precisi di virtuosi della slide e lap steel, il chitarrista è interessato a tirare fuori l’intensità intrinseca dello strumento. Il suo è un approccio rude e viscerale, spartano e forse goffo nei modi, sicuramente limitato da una tecnica non adatta, ma non per questo disomogeneo e indigesto.
Registrato al Potterville International Sound di Kingston, New York, mixato dallo stesso Saft e da Christian Castagno, Serenity Knolls è un disco dal fianco scoperto che non ha nessuna fretta di arrivare alla meta, ammesso che i due ne abbiano una (non perdonerete il gioco di parole, lo so). Si mostra, lasciandosi scrutare nei particolari più intimi senza pretendere che venga spenta la luce. I suoni fluttuano fra quelli ambient prodotti dalla Guild di Bill Brovold, riverberata tramite il Silverface Fender Vibrolux, e quelli liquidi e melodici, impastati dalla fanghiglia del Mississsippi da cui emergono dobro e lap steel attraverso un ampli Alamo del 1950.
Serenity Knolls è uno stato mentale da raggiungere dopo lo scompiglio di una tempesta emozionale, ma è anche al nome del rehab in cui morì Jerry Garcia.
Ammesso che si possa coniare un neologismo senza essere fucilati, si potrebbe parlare di una fusione felice fra blue(country)grass-ambient. Sebbene sulla lunga distanza affiori una certa insofferenza per la lunga durata e l’ossuta struttura dei brani, ascoltate Thermopolis e la traccia successiva Bemidkji e avrete una chiara dimostrazione che nell’arte tutto è possibile, compresa la maestosità in sordina di The Great American Bison, altro snodo fondamentale per la comprensione di questo lavoro che scivola via in punta di piedi
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