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Il precedente lavoro Indigo Meadow, fin dalla copertina smaccatamente Anni'60, era figlio della tradizione psych-rock che dai 13th Floor Elevators - anche loro di Austin, Texas - passava per i Black Rebel Motorcycle Club e giungeva fino ai Brian Jonestown Massacre. Fu un'illuminazione e uno dei dischi cardine del decennio in corso. Tanto per ribadire che oggi l'acido ferma ancora nelle stazioni del Sud e non solo nella Bay Area di Fuzz, Ty Segall e Thee Oh Sees.
Quattro anni dopo, Alex Maas e soci tornano in lungo con un disco che, pur non eguagliando il predecessore, offre spunti a ripetizione. Il suono è sempre sporco, garage, lo-fi; abbondano feedback, distorsioni, delay e beat ossessivi; anche le basi synth concorrono a intorbidire quelle acque in cui sguazza la voce del leader, eterea, quasi androgina, ma al contempo asciutta, come se avesse appena respirato polvere di cemento. Stessa solfa, quindi ? Non proprio. I quattro, qui, provano a filaserla dalla vasca in cui erano confinati infilando il primo condotto verso il mare aperto.
Se Currency riprende il discorso con la sua lenta litania psichedelica a fare da monito e sottolineata dal drumming possente di Stephanie Bailey; I'd Kill For Her è una cavalcata glam molto vicina ai Suede (il timbro di Maas, del resto, ricorda parecchio quello di Bret Anderson); mentre la ballata Half Believing allenta la tensione con le sue contorsioni astrali in stile Bowie-alieno.
Il coraggioso tentativo di cambiare aria non è sempre supportato da una scrittura all'altezza, ma i richiami a volte sono sorprendenti: Comanche Moon si prostra al dio dei Goat, tra echi hard-blues e cori sciamanici; Hunt Me Down s'accosta ai Black Keys, col suo riff zeppeliniano; e Estimate, doorsiana nel suo incedere, si apre e chiude con un epico organo degno degli Arcade Fire.
Ma sono le ritmiche precise, insistenti, quasi marziali, a tenere in piedi brani come Grab As Much (as you can), sulla quale Maas canta in tono dimesso e quantomai circospetto, come a non voler oscurare il passo regolare della corsa; oppure I Dreamt, che ricorda i dEUS spaziali di Fell Off The Floor, Man; per non parlare di Medicine, che è danzereccia alla Interpol e Franz Ferdinand ma con reminiscenze seventhies alla Earth, Wind & Fire.
Chiudono Death March, oscura e allucinata, e Life Song, ballata che riporta dritti ai Pink Floyd barrettiani.
Nel complesso, disco ampiamente al di sopra della sufficienza.
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