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Sufjan Stevens, Nico Muhly, Bryce Dessner and James McAlister
Planetarium
2017
4AD
di Fabrizio Biffi
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L'eternità si rompe in pezzi attraverso il tempo. Perché siamo qui? Perché i miei sentimenti che sono della stessa dimensione del sole, sono inseriti in una tasca nel petto delle dimensioni di un burrito? Perché sono solo? I migliori dischi di Sufjan Stevens hanno sempre osato molto per comunicare la sua intimità (Age of Adz). Ma qui per la prima volta in Planetarium il genio dell’Illinois sfida l’infinito.
Il disco inizia con i toni morbidi di "Neptune", un primo gioiello di pop art che disegna le linee musicali di questo disco: un delicato falsetto, chitarra minimalista e il supporto orchestrale. Il ritmo cresce con ”Jupiter” , atmosfere della migliore indietronica, le sonorità si fanno più cupe e la voce passa per il sintetizzatore. "Uranus" suona con i flute cari ai Flaming Lips, ma si trasforma molto rapidamente in una ballata disgustosa con personaggi mitici e lunghi movimenti misteriosi.
Tutte le canzoni del Planetario sono epiche nella loro struttura compositiva. "Black Energy" è un passaggio di ambienti scuri di 5 minuti che richiama alla mente Brian Eno e subito dopo arriva "Sun" che prosegue in un’atmosfera di vorticosi fiori e sintetizzatori frizzanti.
Se Sufjan Stevens ha scritto i testi e le melodie di questo Planetarium non da meno sono gli arrangiamenti di Nico Muhly, la programmazione e le percussioni di James McAlister, la chitarra di Bryce Dessner. Tutti hanno lavorato insieme per dare un nuovo slancio alle trame musicali consolidate di Sufjan. E il risultato più importante di questo disco è che piuttosto che tornare indietro in una direzione precedente, la nuova esperienza collettiva di questo progetto rafforza in maniera impressionante le doti artistiche ed evocative del genio dell’Illinois.
Coloro che sono ancora troppo condizionati dalle altezze emotive di Carrie e Lowell o della esaltante narrazione di Illinois devono tenersi pronti a saltare nel buco nero e vedere ciò che troveranno dall’altra parte dopo un’esplorazione non convenzionale.
Planetarium richiede un ascolto ripetuto, i movimenti che si creano nelle singole canzoni sono tali che, mentre una traccia sta per finire, non si può fare a meno di passare all’altra. E’ un disco che suona modulare nella tecnica di Brian Wilson su Smile.
Nel suo ideale percorso spirituale Sufjan Steven vuole inaugurare una nuova forma di fede che spende più tempo a rispondere alla domanda di cosa, piuttosto che alla questione del come. Le allusioni e i passaggi dedicati alla fede si trovano proprio su "Earth" un pezzo monumentale di quindici minuti. "L'innocenza non è mai stata persa, anche se forse è stata insultata", Sufjan canta delicatamente attraverso i reverberi e le rarefazioni strumentali .
Per piazzare poi la stoccata finale: "noi, in cambio, ci siamo vendicati del creatore, proiettando le nostre paure ,i nostri fallimenti, gli errori e le frustrazioni su chi ha dato vita a tutto questo”. E si arriva inesorabilmente al gran finale quando nelle parole della canzone, Stevens si rivolge all’artista supremo dell’universo: "Allelujah" - nel suo significato, letterale, "Lodate voi, il Signore"
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15/06/2017 -
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