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Hiss Golden Messenger
Hallelujah Anyhow
2017
Merge Records/Goodfellas
di Giuseppe Celano
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Partono su sonorità che infondono sicurezza e giri armonici piacevoli che mischiano il periodo Bob Seger di fine seventies (Jenny Of The Roses) e Bod Dylan più pacato anche se la band è stata spesso paragonata a Will Oldham e Bill Callahan.
Sono solo punti di riferimento soggettivi che si azzerano nel momento stesso in cui ogni ascoltatore si porrà all’ascolto trovando (i propri) elementi.
Nati dalle scorie del progetto alt-country dei Court & Spark, si sono evoluti passando da forme più spigolose e rozze verso angoli smussati in cui Taylor sfoggia le proprie doti d’autore, affiancato da Phil e Brad Cook Si sono formati per il volere di MC Taylor e Scott Hirsch nel 2007 in Nord Carolina e con il passare stanno diventando un classico della tradizione rock americana. Fondono linguaggi folk e blues aggiungendo spettri soul per fotografare una parte dell’America, qui a fianco scoperto.
Capaci di scrivere buone ballate, non strappalacrime né mielose (Harder Rain), ma forti di una linea armonica vincente e un canto fresco e pulito. Il tutto è costruito su un tappeto di fiati, sassofoni, che fanno da contrappunto all’assolo di pianoforte. In I Am The Song rispunta il fantasma di Dylan ma il sound è vicino al mai troppo compianto Tom Petty affiancato dagli immancabili Heartbreakers. Piace che interrompano le take, lente o più dirette non importa, proprio sul più bello spazzando via le aspettative riposte nell’arrivo di un’atra strofa che puntualmente viene segata lasciando, il pezzo quasi monco, l’ascoltatore con la voglia di rimettere play.
Hallelujah Anyhow porta con sé un sentimento positivo, di speranza supportato da uno spirito free rintracciabile nelle svisate dell’armonica e dai colori tipici di una distesa americana. Alleggeriscono tutto con armonie catchy e radio-friendly mai pacchiane e scevre da insopportabili post produzioni da supermercato. Buoni gli arrangiamenti e altrettanto efficaci le melodie, se volessimo trovare un neo a tutti i costi potremmo dire che affiora, di tanto in tanto, la sensazione che i due si siano seduti comodamente e, dopo aver fatto il loro, si osservino da lontano producendo musica che serve per divertirsi e all’occorrenza divertire anche chi si pone all’ascolto.
Il disco suona bene e, pur non essendo niente di visionario o dirompente (Domino, Time Will Tell), fa il suo sporco lavoro e la sua porca figura. Al netto della mancanza di grandi uscite al momento, che ne possano anche minimamente ridimensionare la caratura o strappargli il posto fra i primi, potrebbe sembrare un gigante.
Se i voti sono proprio un’ossessione a cui non riuscite a sottrarvi, siamo sul 6.5
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2017
23/12/2017 -
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