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L'album, il decimo della carriera della Art Rock band di Oslo, è uscito su etichetta Kscope il 18 maggio 2018.
SOYUZ E LA TRANSITORIETA' DEL MOMENTO CHE FU.
Un'iconica navicella, vascello di memorie ed intraprendenza umane, simbolo di interconnessione tra racconti e ricordi di frammenti d'umanità sparsa, che vaga nel mondo cercando di non perdere troppi pezzetti di sè lungo il cammino che unisce e divide allo stesso tempo ognuno di noi. I colori della guerra fredda lambiscono la copertina di Antonio Seijas come pennellate impressioniste, ambientando il vagabondare della musica in un clima di soffusa malinconia che permea tutto il disco, anche laddove il ritmo ingrana e corre veloce lungo il tempo.
Soyuz One è questo all'inizio, l'incedere lento e crepuscolare, il battito di ali che piano piano allarga l'orizzonte di chi sta ascoltando, quasi gli avesse donato delle ali, arrivando a trasformare quello che era silenzio in un grido che urla e scalpita, per poi congedarsi sulle note di un bellissimo solo di violino. Ma il cambio è repentino, la seconda traccia, Hypomania, raccoglie tutta l'energia che era sembrata sopirsi per cavalcare un rinnovato vigore, sorprendendo e poi crescendo man mano che si riascolta l'album e divenirne una delle gemme. Ci si perde ad ogni nuovo passo poichè ogni nuovo brano è un incontro con memorie di perduta bellezza che portano l'ascoltatore a muoversi pur restando fermo, ad amare solo osservando, solo sentendo. Exit Suite ne è il sunto perfetto, poco meno di 4 minuti per far si che la poesia diventi viva, una piccola alcova dove la malinconia della notte cede il passo al giorno che sarà, un ritmo che si dilata per arrivare poi a chiudersi verso un nuovo inizio, dando il via al quarto brano del cammino, Emperor Bespoke. Ed ecco che la danza inizia, la traccia assembla un lungo ed incalzante ballo dove ogni strumento è una piccola parte di un più vasto valzer in un crescendo di sinestesia pura nel finale. Sinestesia che come fumo si erge da un fuoco crepuscolare chiamato Sky Burial, uno spaccato mistico di armonia e tradizione, la " Sepoltura Celeste ", un antico rito funerario tibetano che emerge dal testo che Jan Henrik Ohme canta, ed è incredibile la naturalezza con cui riesce ogni volta a fermare il tempo e renderlo eterno. Ed è là dove le lancette smettono di camminare, là dove le cose fugaci si fermano ed osservano, lì dove quello che fu diventa la domanda sul futuro incerto che sarà, lì il sussurro di Fleeting Things si fa dama e cavaliere. La struttura è abile nel sottolineare la consueta bravura nel narrare in note e parole concetti a volte astratti a volte concreti con un gusto melodico sempre incalzante. A questo punto, giunti quasi al termine di questo viaggio, Soyuz Out è lì per fornirci una fine prima della fine, con una struttura complessa ed una lunghezza di 13 minuti, sunto sagace di un universo sonoro che solo questa band riesce a rendere così vivo, emozionante ed incredibile.
Ora, la mia è voluta essere un escursione dettata da quello che il mio cuore di poeta ha sognato ascoltando questo album più che una recensione tecnica, e vorrei quindi congedarmi lasciando al lettore un piccolo estratto dal testo dell'ultima traccia di Soyuz, Rappaccini, a firma del lascito emotivo che i Gazpacho hanno anche questa volta vergato a fuoco nei pensieri di chi vorrà ascoltare e condividere la passione e l'intensità della loro musica.
"The autumn winds sings of sleep Places we've been They're already gone Cut down the trees When the time comes Hear the voice below Present, Past and future breath ...."
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