|
Driiiiin! - “Bene ragazzi, l’ora di fisica è terminata… prendete il libro di storia adesso.” Questo avrebbe detto Alessandro Zannier se, invece che il cantautore-pittore-scultore (e tanto altro), avesse fatto il professore. Perché non c’è dubbio che avrebbe fatto questo sacro (in senso laico) mestiere. E sicuramente sarebbe stato un professore di quelli eclettici, che per spiegarti Dante parte da Pitagora.
L’alter ego di Alessandro è Ottodix, un artista poliedrico che coglie spunti nei più disparati campi del sapere confezionando poi concept album di rara forza e coerenza. Ogni album è un piccolo viaggio ma, a sua volta, ogni album è pietra miliare di un percorso più lungo e complesso.
Ho cominciato a seguire Ottodix quando nel 2017 esce MicroMega, album ispirato alla novella illuminista di Voltaire che trova però il suo sviluppo e la sua forza all’interno degli oscuri ed ostici concetti della meccanica quantistica. Dalla letteratura alla fisica.
Nel tempo ho approfondito la conoscenza del lavoro di Alessandro, non solo in campo musicale, ed ero curioso di sapere cosa avesse creato questa volta. A fine marzo 2020 è uscito Entaglement, album ispirato al concetto dell’entaglement quantistico, quel fenomeno fisico per cui due particelle, anche se lanciate a enormi distanze tra loro, continuano ad interagire vicendevolmente ed istantaneamente. L’album però trova la sua struttura grazie al viaggio che il nostro novello Ulisse percorre intorno al mondo, dimostrando appunto come tutto sia correlato e, soprattutto correlato direttamente e in modo evidente. Anche questa volta, dalla fisica alla storia, quindi alla geografia.
I suoi album non sono un sottofondo, i suoi album vanno ascoltati più volte e necessitano comunque di buone basi culturali. Le atmosfere elettroniche ed oniriche che caratterizzano la sua produzione accompagnano e avvolgono i brani innescando quel circolo virtuoso in cui musica e concetti si valorizzano mutualmente. Quindi, se è vero che ascoltare Ottodix non è facile, è vero pure che ascoltarlo è bello e utile: rispolvera concetti e nozioni sopite, accende intuizioni, favorisce collegamenti interessanti. Insomma, fa riflettere.
I quattordici pezzi che compongono hanno nomi che rimandano alla storia e alla geografia e soprattutto ai molteplici intrecci che sfumano i confini tra le due materie ponendole infine come due facce della stessa medaglia. L’album si apre infatti con le sferzanti atmosfere di “Permafrost”, nome che implicitamente (ma forse neanche tanto) richiama un altro dei temi cari a Ottodix, cioè: l’ambientalismo. “Permafrost” è la crasi fra le parole permanent e frost. Il nome è stato creare per evidenziare una zona immensa della superficie terrestre, che copre buona parte dell’asia nord-orientale. Grazie al nostro costante e certosino lavoro di distruzione dell’equilibrio del pianeta stiamo riuscendo nell’impresa di far scongelare buona parte del suddetto territorio, innescando tutta una serie di conseguenze ancora più catastrofiche per il clima: avete presente l’effetto domino? Uguale! – e siamo solo alla prima traccia, strumentale per giunta.
A seguire c’è “Europhonia”, e l’assonanza con Euphonia non è certo un caso. Il testo è una malinconica disamina di come l’”orchestra” Europa si sia sempre contraddistinta per essere composta da grandi Stati-solisti, che si sono trovati di comune accordo solo quando l’intento era quello di scannarsi; ma se prima almeno eravamo scienziati e filosofi, ora siamo sempre più… ?
Da qui al brano successivo, “Mesopotamia”, la strada è breve. Perché un’altra cosa su cui si è sempre trovato d’accordo l’occidente è che quelle terre non vanno lasciate a chi ci è nato. Atmosfere orientali e il sordo e duro suono della chitarra danno il ritmo a una rievocazione dei lasciti più che fondamentali arrivatici da quella mezzaluna. Giusto per elencare qualche cosuccia citata: la bussola, l’astronomia, le tre religioni monoteiste e, cosa che praticamente racchiude tutte le altre, lo Zero. Tu prova a giocare in borsa coi numeri romani.
Questo è il tenore di un album che continua a palesarsi con titoli come: “Gengis Khan”, allegoria della follia di conquistare il mondo per poi vederlo distrutto; “Pacific Trash Vortex”, la ormai tristemente famosa isola di spazzatura che abbiamo creato al centro del pacifico (e non un’isoletta); “Columbus Day”, il glorioso giorno che celebra l’arrivo di Colombo, quindi dei figli della civilissima Europa: un’orda di assassini spietati che in 300 anni hanno sterminato vari popoli; “Maori”, una delle popolazioni emblema degli effetti del colonialismo occidentale. Il nome “Maori” porta in sé una spietata ironia, significa “normale”.
L’album si chiude su “Entanglement”, un lento fluttuare tra pianoforte e archi che segna il ritorno all’universo, alle sue leggi, alla fisica e quindi ad uno sguardo più distaccato, più consapevole ma più insicuro allo stesso tempo. “…siamo nell’entanglement… …collegati dagli eventi, volenti o nolenti…”
|