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Ulver
Flowers of Evil
2020
House of Mythology
di Giuseppe Celano
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Arrivati al dodicesimo disco, gli Ulver sconfinano ulteriormente nei territori cari ai Depeche Mode producendo uno dei dischi più attesi, non solo dai fan, ma che probabilmente non soddisferà appieno le (loro) alte aspettative.
A questa release i norvegesi associano un libro di 336 pagine, Wolves Evolve: The Ulver Story, uscita a fine Agosto nelle 500 copie speciali dell’edizione deluxe in vinile.
Passando alla musica, Michael Rendall (The Orb) e Martin al mixer conferiscono ulteriore spessore a una band eclettica e capace di mutare nel tempo. Quest’ultimo lavoro, sulla lunga distanza, risulta meno incisivo e complesso dei suoi predecessori ATGCLVLSSCAP e The Assassination of Julius Caesar che avevano mostrato una diversa ricchezza nel songwriting e negli arrangiamenti intricati. Mentre indagano sulla paura e sul desiderio di redenzione del genere umano, i nostri sfoggiano beat classici che da sempre li caratterizzano sfruttando groove già sentiti, coretti femminili molto catchy a cui oppongo synth e chitarre.
Proprio per questo Hour Of The Wolf e Apocalypse 1983 risultano un po’ manieristiche, se non addirittura prevedibili, nel loro andamento statico e poste lì come ampliamento della sezione synth-pop. Su Little Boy appaiono chitarre incisive e cornamusa mentre con Nostalgia, singolo radio friendly, si torna a muovere anche e femori sospinti dalla ritmica incalzante. Le atmosfere sono più distese per il lavoro in studio che ha reso la loro musica meno oscura e più diretta, o più accessibile se preferite.
Il risultato è una mezza delusione, nonostante tutto il clamore attorno Flowers of Evil non suona come un disco imperdibile. Potrebbe piacere pur senza mostrare guizzi né virate e men che meno idee illuminanti. Più che di transizione ci sembra si tratti di un momento di stallo, una cristallizzazione fisiologicamente comprensibile dopo 25 anni di carriera.
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27/10/2020 -
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