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Motorpsycho
Kingdom of Oblivion
2021
Stickman
di Giuseppe Celano
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L’inarrestabile macchina norvegese, produttrice di ben 27 dischi, 17 ep, 2 mini album, 8 live e 3 dvd, si è rimessa all’opera tirando fuori dal cantiere un nuovo disco che supera la precedente prova in qualità e impatto.
L’attesa, sembrata ancora più lunga causa Covid e lockdown, è stata ampiamente ripagata.
Cos'è cambiato rispetto a due anni fa? Le aspettative e le intuizioni, già affiorate negli ultimi due lavori, sono confermate da Kingdom Of Oblivion dall’approccio più asciutto e dal songwriting (semi) ripulito dalle lungaggini prog che avevano caratterizzato le produzioni degli ultimi dieci anni ma che sono andate scemando nell’ultimo quinquennio. Emerge chiarissima la volontà, nonché necessità, per la band di Trondheim di ritornare a suoni possenti fatti di stoppati, bicorde e una distorsione frutto di scelte ben precise di Snah che, anche su questo disco, appare in grande forma. Sebbene il rifferama hard sia incastonato sulle macerie della grande sbornia prog il risultato non viene minimamente intaccato (The Warning Pt. 1 & 2).
Il suono è potente e maestoso quanto il crescendo di Dreamkiller che fa il verso a Psychonaut, il basso di Bent arriva come un antidoto iniettato in extremis su cui si spalmano le linee vocali forti di armoniche inaspettate. Gli arrangiamenti, sempre intelligenti e vicini al jazz in coda a Kingdom Of Oblivion, fanno da fondamenta solide per le ballate acustiche, presenti su ogni lavoro della band, e racchiuse in tre minuti capaci di risucchiare l’ascoltatore in una spirale di timida ma abbagliante bellezza (Lady May 1). Non mancano gli schiacciasassi di nove minuti (The United Debase), dal vivo si trasformerà senza dubbio in una suite devastante, il cui riff iniziale è stato sfruttato anche dai Black Keys di El Camino per evolvere in accordi ribassati capaci di mandare in giuggiole anche Toni Iommi.
L’oscura The Watcher (Featuring The Crimson Eye) è più vicina all’ultimo periodo della band, quello prog da cui sembra ormai si stiano staccando definitivamente attraverso At Empire’s End, una sorta di ibrido fra Lacuna / Sunrise e No Quarter in pieno stile Motorpsycho che tradotto comporta una struttura classica introdotta da un inizio lento seguita dal crescendo inarrestabile e dalla la sezione centrale in piena esplosione policromatica.
Se il giro circolare della ballad acustica The Hunt abbassa i toni, la successiva The Transumation of Comoctopus Lurker decolla come uno shuttle risultando il vero colpo da maestro. Un titano tentacolare di ben undici minuti che non lascia respirare per l’asfissiante e ossessivo arpeggio degno dei King Crimson di Red. È stoner totalmente strafatto nella sezione psicotropa che ammanta il segmento centrale, roba per cui i QOTSA avrebbe fatto carte false.
In attesa di vederli presto, si fa per dire considerata l’incertezza imperante per gli eventi nei piccoli club, la percezione è che i Motorpsycho siano quasi pronti per tornare ai fasti di Blissard e Trust Us.
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19/04/2021 -
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