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Dal Planetario, così si chiama l’ultimo disco di Peppe Voltarelli, possiamo scorgere un pezzo della canzone d’autore internazionale. Canzoni indipendenti e libertarie cantate da quelle facce un po’ così… di chi va in giro per il mondo: Silvio Rodriguez, Luis Eduardo Aute, Joan Manuel Serrat, Joaquin Sabina e ancora Ferré, Bob Dylan, Endrigo, Modugno. È Voltarelli, il globetrotter della canzone, che ci conduce in un viaggio da Barcellona al Québec passando per i porti del Nord Europa.
Una cartografia della canzone che lega l’Argentina con il suo tango, l’Europa francofona di Brel e Ferré, la Spagna con la trinità cantautorale Luis Eduardo Aute, Joan Manuel Serrat e Joaquin Sabina, la Russia di Vysotskij, l’Italia di Endrigo e Modugno. Il disco non cercatelo su Spotify perché Planetario, prodotto da “Cose di Amilcare” e pubblicato dalla raffinata editrice Squilibri nella solita veste di libro più CD, non sarà diffuso sulle piattaforme dominanti: editore, autore e produttore hanno ritenuto che almeno inizialmente l’opera deve vivere sul supporto fisico. E poi, diciamo la verità, le multinazionali quotate in Borsa trattano gli artisti in modo offensivo. Viva l’artigianato, dunque, se siamo di fronte a un lavoro diverso, da ascoltare tutto d’un fiato, un’Utopia lontano dallo stile supermarket.
Planetario è una costola strappata al Club Tenco e non è un caso che a produrlo sia Sergio Secondiano Sacchi, nuovo direttore artistico della rassegna sanremese, con “Cose di Amilcare”, l’organizzazione che opera in Catalogna per diffondere la canzone italiana. Amilcare altri non è che Rambaldi, il quale nel 1972 fondò il Club Tenco dopo aver trascorso buona parte della sua vita a distribuire i fiori di Sanremo nel mondo. Coltivava la bellezza, Amilcare, e Peppe Voltarelli ha voluto restituirne una parte con canzoni senza tempo, adoperando la sua voce come collante dell’album e seguendo un filo rosso che unisce le sensibilità di autori differenti. Dev’essere chiaro che non è un disco di cover: Voltarelli fa sue le canzoni, peraltro in gran parte notissime, cambia il ritmo, imprime nuovi timbri e dà loro un suono inedito.
Il disco ha una chiara matrice politica e infatti è dedicato, oltre che a Gianni Mura, a un gruppo di dissidenti turchi: come dire la canzone dà voce a chi voce non ne ha. Il digipack di Squilibri è corredato da un racconto dello stesso Voltarelli, dalla prefazione di Sergio Secondiano Sacchi e da un saggio di Laura Lombardi; all’interno i dipinti di Anna Corcione, trame di un tessuto che lega musica e pittura. Tele con colori autunnali o a tratti chiari, proprio come la musica di Voltarelli, giunto ora al quinto album da solista. In precedenza, aveva fondato il Parto delle Nuvole pesanti e aveva scritto la celebre Onda calabra, ripresa con sapiente ironia da Antonio Albanese per il film Qualunquemente. Planetario è stato concepito nell’ultimo anno tra la Catalogna e l’Italia e ha coinvolto quattordici studi di registrazione. Le canzoni camminano sulle strade del mondo e Voltarelli, forte dei suoi vagabondaggi, può dire: ho visto!
Nell’antologia on the road di Voltarelli troviamo in apertura il tema della libertà, rivissuta attraverso la giornata del 26 aprile 1945: Piccola serenata diurna, cantato con Silvio Rodriguez; la canzone fu composta da Rodriguez poco dopo la rivoluzione di Castro e Guevara. La liberazione è quella dalla dittatura cubana di Batista ma qui è dedicata alla Resistenza italiana. Ci spostiamo poi a Rotterdam (di Ferré) con le “puttane, i marinai nerboruti e i ragazzi di strada”. Un salto di due anni e siamo nel Millenovecentoquarantasette: la canzone omonima, con un colpo di genio, è ambientata nella Napoli del dopoguerra anziché a Madrid come nel testo originale di Joaquin Sabina. È una piccola Napoli milionaria in musica, un’allegoria che racchiude quell’epoca dove “nelle edicole il settimanale “Oggi” trasudava di Faruk, Elisabetta e di Chanel/ chi non sapeva leggere imparava su Sogno, Bolero e Grand’hotel”.
Dicevamo che molti dei grandi della canzone internazionale hanno cantato in questo CD assieme a Voltarelli. Su tutti, Silvio Rodriguez, cubano, voce dell’America latina, premio Tenco 1985 e Manuel Serrat, pioniere della canzone catalana il quale ha visto la sua canzone Saeta tradotta in precedenza da Guccini e Gino Paoli e portata al successo da Mina con il titolo Bugiardo e incosciente. La versione della tigre di Cremona in realtà poco ha a che fare con l’originale di Antonio Machado e Serrat dove lo scrittore si interroga sul futuro dell’intera Spagna.
Torniamo a Planetario: Amancio Prada che nel 2010 ricevette il premio Tenco ci conduce con Voltarelli sul Sentiero dove tornano i braccianti con il sangue tribolato dal fardello delle stagioni. È la biografia di Miguel Hernàndez, pastore condannato a morte nel 1940 in quanto repubblicano. Poi Adriana Varela, maestra del tango canta nella Voce d’asfalto un testo di Cacho Castana. Un tango insolente sviluppato con piano fender, chitarre, percussioni, violino e contrabbasso. Joan Isaac intona Margalida dedicata alla donna di Puig Antich, un anarchico passato per la garrota del caudillo Franco nel 1974. Per la cronaca dopo l’esecuzione del giovane anarchico, nessuno seppe più niente di Margalida Bover Vadell, nemmeno Joan Isaac che scrisse la canzone. La fiaccola dell’anarchia in Spagna ritorna nella canzone di Luis Eduardo Aute, “All’alba”: si racconta dell’ultimo incontro tra un condannato a morte che sta per salire sul patibolo e sua moglie: “Se ti dicessi, mio amore/ che temo la mattinata… già sento che dopo la notte/ verrà la notte più lunga/ ti prego non mi lasciare all’alba”.
La musica è sospesa sulle tastiere di Daniele Caldarini, il violino di Angapiemage Persico, il violoncello di Paola Colombo e il contrabbasso di Michele Staino mentre la voce strappata di Voltarelli suscita la nostra emozione. Nel porto di Amsterdam – canzone di Jacque Brel nella traduzione di Sergio Secondiano Sacchi – ritroviamo la vita dei marinai che fa storcere il naso ai censori della buona società tra pinte di birra, tovaglie unte e puzza di merluzzo. Ma è sul mare di Ostenda, (autori Leo Ferré e l’anarchico Jean-Roger Caussimon), che si possono ascoltare le onde e perdersi in un bar senza conoscere il senso della vita. È questo un passaggio del viaggio di Voltarelli che ci porta in Canada, nel Québec, con il brano A la manic.
Da un posto sperduto del mondo si alza un canto, è una lettera d’amore scritta da un operaio impegnato nella costruzione di una diga: “Sapessi tu che noia qui a La Manic/ mi scriveresti un po’ di più a la Manicouagan”. La canzone è popolare tra i diciottomila lavoratori che dal 1959 al 1971 lavorarono nelle centrali elettriche del Québec. Di Bob Dylan, Voltarelli sceglie Winterlude: era un pezzo umoristico che il premio Nobel scrisse nel 1970, cinque anni prima che De Gregori, ispirandosi a quei versi, componesse Buonanotte fiorellino. Si tratta di un gioco di parole: winter (inverno) e interlude (interludio) ispirato al carnevale canadese. Non sono certo canzonette fatte tanto per cantare ma brani con un notevole potere letterario e storico.
Tra gli autori che si prendono idealmente per mano nel disco, due gli italiani: Sergio Endrigo, uno dei maggiori autori troppo spesso dimenticato, e Domenico Modugno. Dal dizionario endrighiano dei sentimenti e dell’impegno, Voltarelli sceglie “La prima compagnia”, suonando la chitarra classica cui si aggiunge quella acustica, l’ukulele di Caldarini, il sax di Maurizio del Monaco e uno strumento armeno, il duduk, suonato da Laura Pupo de Almeida. Amore e dolore sintetizzato dal sacrificio della prostituzione. Per Modugno, capostipite dei cantautori, la scelta va su Musetto: un brano che appare frivolo ma che in realtà, scritto nel 1955, invita la propria amata a pensare alle cose semplici. Gioca Modugno – nello stesso 45 giri c’era Io, mammeta e tu – eppure ironizza sia pure in modo lieve su certi stereotipi dei modelli femminili alimentati allora dai fotoromanzi.
Del potente cantautore e scrittore russo Vladimir Vysotskij cui il club Tenco dedicò una serata nel 1993 da cui scaturì un CD di cover in italiano, viene tradotta Cavalli bradi con un arrangiamento raffinato in cui compare la tromba di Francesco Grigolo, il piano e le tastiere di Caldarini, il mandolino di Alex Aliprandi, il contrabbasso di Francesco Gaffuri e l’organetto di Alessandro D’Alessandro. Voltarelli si prende anche una soddisfazione: fa tradurre in catalano una sua composizione, Marinai (premio Tenco 2010), e la canta assieme a Rusò Sala, chitarrista, vincitrice del premio Parodi nel 2013. Marinai diventa Els Mariners, scritta per il mare della Calabria che qui si fonde con le acque della Catalogna. Poco male: chi naviga incontra sempre gli stessi problemi. Il disco si chiude con “Sta città”, bonus track, in una versione strumentale che ci riporta alla tarantella e ai ritmi del Sud.
Del resto, tutte le canzoni del CD parlano dei vari Sud del mondo. Dal planetario voltarelliano si scorge una luna sanguinante sulle bandiere degli anarchici che - come diceva Ferré - non son l'uno per cento ma credetemi esistono, in gran parte spagnoli chi sa mai perché. E nei versi di chi canta l’uomo e i suoi problemi eterni prevale un amore che deve fare i conti, oltre che con le garrote, con l’incapacità di dare agli altri senza pretendere nulla in cambio. Sono parole e note che arrivano all’anima per non dimenticare le tragedie umane e farci vedere cosa si vede dal planetario: quelle facce un po’ così’ di grandi autori magari poco conosciuti in Italia. Cose da ricordare, cose di Amilcare.
IL CD
Planetario Squilibri, 2021
01) 26 Aprile 1945: piccola serenata diurna (con Silvio Rodriguez) 02) Rotterdam 03) Margalita 04) Musetto 05) All’alba (con Luis Eduardo Aute) 06) Winterlude, inverludio 07) Els Mariners (con Rusò Sala) 08) Millenovecentoquarantasette 09) Nel porto di Amsterdam 10) Saeta (con Joan Manuel Serrat) 11) Cavalli bradi 12) Voce d’asfalto (con Adriana Varela) 13) La prima compagnia 14) Per un sentiero (con Amancio Prada) 15) Ostenda 16) A la manic 17) Bonus track: Sta città
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