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Ascoltiamo, e riascoltiamo, Archive Series Volume No. 5: Tallahassee Recordings lanciando occhiate agli Lp e ai Cd registrati da Will Oldham accumulati negli anni.
Da quanto tempo il “Principe” ha smesso di produrre opere degne di nota? Di quanti suoi titoli acquistati con curiosità e grandi aspettative ci siamo sbarazzati nei negozi che trattano l’usato?
Cantautore di classe sopraffina, Sam Beam (Iron & Wine), si può accostare solo parzialmente alla produzione di Oldham. Stesso amore sconfinato per la musica country-folk della tradizione angloamericana, benché declinato in maniera più ossequiosa e scolastica rispetto all’approccio sghembo e spiazzante che ha innervato la prima parte della carriera di Oldham, periodo Palace Brothers e prime avventure solistiche. Beam corre lo stesso rischio che ha messo in evidenza i limiti di Oldham: la maniera. Lo stile di un musicista, per quanto impeccabile, o inconfondibile, può divenire una prigione. A quel punto, o si trova il modo di alimentare con nuova linfa vitale la propria proposta artistica, oppure ci si deve rimettere al buon cuore dei fan più appassionati.
Va specificato che “Archive Series Volume No. 5: Tallahassee Recordings”, come indicato dal titolo, è una raccolta di incisioni effettuate tra il 1998 e il 1999; una sorta di album d’esordio inedito, in base alle indicazioni fornite dalla Sub Pop. Del tutto inappropriato, dunque, indicarlo come rimasticatura.
Tuttavia, abbiamo la possibilità di sentirlo solo ora, e, se confrontato col già vasto repertorio degli Iron & Wine, è innegabile l’impressione che sia un’uscita sostanzialmente inutile e priva di fascino.
La vena musicale di Beam ha forse trovato gli esiti più felici in Years to Burn, disco realizzato insieme ai Calexico nel 2019, e futuro classico del canone Americana; frutto della sua penna le composizioni più riuscite, tra cui “Tennessee Train” e la title- track, entrambe di bellezza malinconica e sfolgorante.
Cosa dire dei brani in scaletta in “Tallahassee Recordings”? Noi salveremmo solo “Why Hate the Winter”, canzone fuori dal tempo, chitarra, voce, controcanto nel ritornello, atmosfera autunnale e fruscio nella registrazione. Riempitivi, per lo più, gli altri episodi, talvolta con accompagnamento di basso, batteria, armonica e slide (“This Solemn Day”; la cantilenante “Calm on the Valley”; la monotonia di “Straight and Tall”; lo strimpellio di “Valentine”).
L’immobilismo del disco viene un po’ ravvivato da “Cold Town” e da “John’s Glass Eye” (il cui tema era stato già trattato, con brio, da Richard e Linda Thompson nel bellissimo LP “Hokey Pokey”), e sono quanto meno interessanti l’inizio di “Loaning Me Secrets”, che potrebbe far pensare a una cover rallentata della celebre “What a Feeling” (dal film “Flashdance”), ed “Ex-Lover Lucy Jones”, che evoca, tra i tanti possibili rimandi musicali, la “Outta Hand” dei Dinosaur Jr.
Quindi, diciamolo francamente: siamo ben lontani da un disco da consigliare, e anche la pazienza degli estimatori sarà messa a dura prova davanti a un’opera non tanto brutta quanto incolore come questa.
Le recensioni lusinghiere, però, non mancheranno di sicuro: Beam si è aggiunto alla cerchia dei “quasi intoccabili” che accoglie da moltissimi anni il Principe sopracitato. Ai fan più accaniti l’ultima parola…
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