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Album incredibile, musica ancestrale, che non esito a definire di portata cosmica. Era tanto che non ascoltavo dischi del genere, almeno nell’ambito della musica italiana. Nessuno riusciva a vincere la mia diffidenza.
E invece Iosonouncane, nome d’arte di Jacopo Incani, musicista sardo originario di Buggerru , ma da tempo residente a Bologna, ci ha messo veramente poco a convincermi. L’album si intitola “IRA”, un progetto articolato e complesso, un’opera monumentale che si articola lungo diciassette tracce per un totale di un’ora e cinquanta minuti di musica. Avvisaglie ce n’erano, a dire la verità : l’ascolto di “Die” , il disco precedente, che risale a ben cinque anni fa, aveva già messo in luce la predisposizione, la genialità ed il talento di Iosonouncane che, anche in questa occasione, collabora con Bruno Germano, incaricato della produzione dell’album.
Il processo creativo è stato molto lungo e faticoso: “IRA” nasce dopo una attenta selezione di quindici ore di bozze e provini. Iosonouncane ha composto ogni singola nota e ha arrangiato tutti i pezzi che sono poi finiti su questo doppio cd. Ormai il termine “cantautore” di addice poco a questo artista sardo, che va ben oltre il concetto ben consolidato di “musica e parole”. Brani come “Hiver”, “Ashes”, “Jabal”, “Prison” “Horizon”, ”Fleuve”, “Soldiers”, “Sangre”, “Hajar”, “Petrole”, “Nirane” e “Cri” sono eseguiti in una lingua mista che comprende italiano, francese, spagnolo, arabo, inglese e tedesco. La polifonia fa parte dell’idea che c’è dietro al disco, per favore non state a soffermarvi troppo sul significato: il suono delle parole conserva intatto il suo valore a prescindere dalla comprensibilità del testo.
Il linguaggio è volutamente scarno, è decisamente minimale, è il risultato di fraintendimenti, è quanto di più vicino al testo di una lingua ipotetica. Da un punto di vista strettamente musicale “IRA” propone sonorità miste in cui si intrecciano elettronica, free jazz, rock progressivo, musica psichedelica e percussioni nordafricane. Si tratta di un inno alla diversità, alla complessità del mondo, scritto e pensato in modo corale, per un “ensemble” su cui modellare strutture armoniche, timbri e partitura vocale. Hanno collaborato alla realizzazione dell’opera musicisti come Mariagiulia Degli Amori, Serena Locci, Simona Norato, Simone Cavina, Francesco Bolognini e Amedeo Perri.
Un vero capolavoro in cui è “piacevole perdersi”.
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