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Lana Del Rey
Blue Banisters
2021
Polydor Records
di Angelo Bianco
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Pubblicare otto dischi in poco più di dieci anni non è cosa da poco (e da tutti), a maggior ragione se ti chiami Elizabeth Grant ma il mondo intero ha imparato ad apprezzarti con lo pseudonimo di Lana Del Rey.
Blue Banisters è l’ultima opera musicale firmata dalla cantautrice nativa di New York, che va a incolonnarsi al precedente Chemtrails over the Country Club pubblicato appena sette mesi fa, a sua volta accompagnato da omonimo libro di poesie che ha fatto risaltare la vena creativa di un’artista a tutto tondo. L'ascolto dell’ultimo album di Lana Del Rey però provoca sensazioni contrastanti: da un lato non si può negare che l’impalcatura sonora sia sempre elegante e raffinata, dall’altro si avverte una sorta di saturazione musicale che instilla nella mente degli ascoltatori un forte senso di deja-vù che li pervade, traccia dopo traccia.
La voce newyorchese non rinuncia agli stilemi e ai dogmi che ne hanno decretato il successo globale, tra sussurri vocali pieni di mestizia e testi che si rifanno alle sue esperienze di vita, il tutto accompagnato da arrangiamenti assai melodiosi. Ci sono brani in cui lo stile della cantautrice americana effettivamente un valore aggiunto, come nel caso della gentile delicatezza del pianoforte in “Violet for Roses”, in altri come “Black Bathing Suit” acuiscono la percezione di trovarsi dinanzi a un lavoro discografico che non profuma di freschezza e assoluta originalità, e infatti all’interno della traccia è possibile scorgere una certa attinenza con la hit “Video Games” tratta dall’album Born to Die.
Blue Banisters, dicevamo, oscilla dunque tra i picchi di “Arcadia” e “Nectar of the Gods” e alcune sperimentazioni sonore poco riuscite come il simil-medley di “Text Book”, che racchiude in poco più di 5 minuti molteplici momenti musicali diversi che si susseguono senza un apparente fil rouge. L’ottava fatica discografica dell’artista classe ‘85 è un gioco degli opposti che però non sempre si attraggono, per quanto anche le tracce meno riuscite (secondo gli alti standard qualitativi a cui ci ha abituato da un decennio a questa parte) siano comunque sopra la media di tante altre canzonacce che infestano il panorama musicale internazionale. La title track è un pezzo alla sua maniera ed è terreno fertile per le sempre gradite atmosfere auliche a metà tra il sogno onirico e la sprezzante realtà; apprezzabile inoltre il tributo strumentale di “Interlude - The Trio” al maestro Ennio Morricone sulle note de “Il buono, il brutto, il cattivo”, ma spazio anche al featuring con Miles Keane in “Dealer”, un brano piacevolmente ritmico dove la Del Rey sfodera un’estensione vocale diversa dal solito, quasi disperata come quando grida “I don’t wanna live, I dont wanna give you nothing” .
Ma se il precedente album seguiva l’ottima scia di un pregevole disco come Norman Fucking Rockwell! , tuttavia senza avvicinarsi alle sue punte di eccellenza, che dire allora di Blue Banisters che suona come una versione estesa di Chemtrails over the Country Club? Di certo non è un tentativo (maldestro) di bissare il tris dopo due successi di critica e finanche di vendite, semmai è un punto esclamativo non troppo marcato di un ciclo musicale. In decrescendo, ovviamente, partito in maniera impeccabile con Norman Fucking Rockwell! fino a perdere qualche punto per strada. Blue Banisters resta in ogni caso un buon disco, nonostante non Lana Del Rey non abbia aggiunto al suo interno niente di particolarmente nuovo rispetto ai due album che l’hanno preceduto.
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25/10/2021 -
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