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Built to Spill
When the Wind Forgets Your Name
2022
Sub Pop
di Andrea Salacone
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Primo album inciso per la Sub Pop da Doug Martsch, venerato veterano della scena indie americana, “When the Wind Forgets Your Name” non convince fino in fondo.
Disco con tutti i crismi di uno stile risalente agli anni Novanta, è invitante nelle deviazioni folk-rock della prima metà della scaletta (un folk-rock all’inglese parzialmente invigorito dalla distorsione), ma non brilla negli episodi in cui ritorna a lidi più noti e già ampiamente visitati.
“Fool’s Gold”, “Understood” , e soprattutto la lenta “Elements” ci colpiscono di più del mid-tempo, per quanto orecchiabile, di “Gonna Lose” , o della centrifuga (sì, deliziosa; certo, genuina) di Cure, Smiths e Hüsker Dü/ Dinosaur Jr. intitolata “Spiderweb” .
E “Never Alright” sarà un omaggio o un quasi-plagio di “The Wagon” , dal magnifico “Green Mind”, LP registrato da J Mascis trent’anni fa?
Gradevoli il divertissement “Rock Steady”, che contribuisce all’eterogeneità di “When the Wind Forgets Your Name” , e la ballata “mutante” “Alright” .
In chiusura, gli otto minuti e mezzo di “Comes a Day” , di cui gli ultimi tre (sentitela in cuffia) ci fanno pensare a un “O famo strano” di Carlo Verdone in chiave musicale.
Il talento di Doug Martsch e la sua capacità di creare frasi melodiche e ritornelli non banali e accattivanti sono inconfutabili. La sua ultima fatica ci pare, però, un disco benfatto e piacevole, ma nulla di più.
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//www.youtube.com/embed/JTWH5rq9DGc
07/09/2022 -
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