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Vengono da Woodstock, ma più che dei vestiti a fiori del 1969, l’immaginario va ai vestiti di fango e feci dell’edizione catastrofica del 1999. Terza uscita discografica dal loro esordio Beauty Pageant che aveva fatto attizzare le antenne ai più, nessuno li aspettava al varco ma ora ci siamo. Eccoli qua, volenti o nolenti questa è la loro prova del 9. E la passano ampiamente.
Partiamo e possiamo pure finire con la title track che in circa 90 secondi ci fa capire cosa si deve fare per dare una parvenza di credibilità alla musica di questi anni. Sono 90 secondi sparati a cannone in un recinto insieme ad un maiale che dicono: benvenuto, accomodati pure. Se ci riesci a stare comodo, perché la testa, il culo, le gambe, involontariamente si muovono e fanno godere tutto il corpo.
Ma noi restiamo comodi quel che basta per capire che la cosa bella di questi 4 giovani carini e bene educati è che non sono niente di più che aria fresca. Ma mica la banale aria fresca autunnale, tipo quella che presentava in tv nuovi comici toscani a metà anni 90, più un’aria fresca ristoratrice. che rigenera, dopo quella calura mista ad afa appiccicosa e che ti solleva accarezzandoti il sudore estivo.
Meno Panariello, più Louis C.K. insomma. Ecco, a me questi nuovi giovinetti della IPECAC di quel volpone di Mike Patton, mi fanno quest’effetto: una brezza piacevole in una giornata schifosamente fastidiosa. E sono sicuro che sia stato lo stesso per Henry Rollins e soprattutto per Jon Spencer, padri putativi dei quattro: aria fresca.
Aria fresca e malattia mentale. In alcuni passaggi del disco, ancor più nei testi, è presente sottopelle quel disagio mentale di cui la cantante ha sofferto a causa soprattutto dell’abuso da alcool, di cui fortunatamente si è liberata. Ma quella lieve schizofrenia, che si trova nel suono che la band da sempre si porta dietro ma soprattutto in questo disco, viene fuori e aiuta a comprendere la bellezza di quanto prodotto da Vance Powell. Aria fresca rigeneratrice all’uscita di un istituto mentale. E allora metti Boss Hog, Karen O, Darby Crash, Miss Ratched e mischia tutto. Spolvera con una spruzzata di garage americano anni ‘90, et voilà! Eccoli qua.
Basso suonato alto e potente, strumento principe dell’album. Chitarre dritte, sposate a meraviglia con le liriche e la voce di Sam Quartin. Cassa, rullante e 4/4 senza che ci sia un domani. Tutto molto semplice, tutto molto bello. Facile album dell’anno.
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