Un nuovo disco dei Mudhoney dovrebbe sempre essere accolto con giubilo, calore e reverenza. Però, diciamolo con franchezza (e sconforto): anche se ascoltato ripetutamente, nel tentativo di scorgere potenziali tesori musicali nascosti tra i suoi solchi, “Plastic Eternity” non entusiasma.
Analogamente a quanto già osservato nelle recensioni degli ultimi dischi di Pixies e Yo La Tengo, ci troviamo di fronte a un’opera che non suscita impressioni sgradevoli, ma che purtroppo neanche appassiona.
In questa occasione, l’ammirevole coerenza stilistica dimostrata dal gruppo in decenni di attività finisce per sconfinare in immobilismo artistico. Brano dopo brano, il fan non potrà rimuovere la netta impressione di aver già sentito tutto innumerevoli volte, e che la formula applicata da Mark Arm e compagni è troppo abusata per essere ancora davvero efficace e vincente.
Insolita anche la scelta della sequenza dei pezzi. “Plastic Eternity” si apre in tono minore, con le prime quattro/cinque canzoni che sembrano girare a vuoto, anche se gli ingredienti del sound dei Mudhoney ci sono tutti: sezione ritmica abbastanza impetuosa, sei corde distorte, wah-wah pressoché onnipresente (lode e gloria a Steve Turner; quanti altri chitarristi in ambito indie continuano a usare quel pedale ai nostri giorni?). A eccezione di “Souvenir of My Trip”, tuttavia, il complesso pare un po’ spompato.
Oddio, i Mudhoney, che almeno fino a pochi anni fa anche dal vivo facevano faville, sono forse pronti per il pensionamento?
Fortunatamente no: l’album ritorna sulla retta via con la psichedelia e gli arpeggi di “Severed Dreams in the Sleeper Cell”, per poi accendersi e ritrovare slancio e vigore garage punk in “Here Comes the Flood”, “Human Stock Capital”, “Cry Me an Atmospheric River” e “Plasticity”.
Gradita sorpresa non tanto le trame acustiche di “One or Two” (certo, non una novità nel repertorio della band) quanto gli intarsi orientaleggianti delle chitarre, che ne accentuano l’atmosfera ipnotica. E come non citare, in tempi di cancel culture e sensitivity readers, la schiettezza beffarda di “Flush the Fascists”?
Nonostante i pregi sopra elencati, “Plastic Eternity” è però un lavoro ripetitivo, privo di caratteristiche che lo distinguano da quelli precedenti, e dei guizzi che ci si aspetta da un disco dei Mudhoney.
Se non un passo falso, un prodotto superfluo, discontinuo. Capita pure ai migliori, ogni tanto…
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