Quando ci si ricorda delle Raincoats, di solito si cita il post-punk, anche se le fondatrici del gruppo, Gina Birch e Ana da Silva, il movimento punk l’avevano vissuto dal principio, e ne avevano fatte proprie le idee e gli atteggiamenti più innovativi e anticonvenzionali. Seguendo l’esempio delle Slits, la band diede inoltre un contributo essenziale alla messa in discussione e al rovesciamento dei ruoli in un ambito musicale ancora prevalentemente maschile.
Inutile ribadire quanto le Raincoats abbiano influenzato generazioni di artisti con due album originali e irresistibili come l’esordio del 1979, e il più sperimentale “Odyshape” (1981). Negli anni Novanta, fu Kurt Cobain a riportare l’attenzione sui dischi che avevano inciso; le ristampe in CD procurarono al complesso una discreta notorietà che lo fece conoscere anche ai non iniziati.
Gina Birch si è tenuta occupata in diversi progetti, ma arriva solo ora al debutto come solista, con una raccolta di canzoni formidabili. Una dichiarazione di intenti fin dal titolo del disco, e della traccia d’apertura, l’album offre momenti scoppiettanti e orecchiabili (“I Play My Bass Loud”, “Wish I Was You”, “Feminist Song”), parentesi ironiche (“Big Mouth”, il cui testo incentrato sui giochi di parole è quasi uno scioglilingua), e ballate stravaganti (“I Am Rage”, in cui il contrasto è netto tra la voce angelica, l’argomento trattato e il feedback e le chitarre distorte alla Jesus and Mary Chain; “Dance Like A Demon”, da ricordare per l’intensità dell’interpretazione della cantante).
Un’opera militante, con la quale la Birch prende posizione su alcuni problemi della società dei nostri tempi (“Pussy Riot”, “Feminist Song”), manifesta vulnerabilità (“And Then It Happened”) e inquietudine (“Digging Down”).
Dub, reggae e veemenza punk in una mescolanza perfetta. Tra gli ospiti, Thurston Moore alle chitarre in due brani, e la ex collega Raincoat, Ana da Silva, (non a caso) in “Feminist Song”.
Un LP denso di idee e riflessioni, i cui contenuti sono spesso estremamente seri, ma che si chiude con un cenno di spensieratezza (la frase “We are happy” in “Let's Go Crazy”).
Unico neo, il dipinto in copertina (la Birch si diletta con i pennelli), perché ricorda le illustrazioni che imbruttiscono alcuni album dei Minutemen. Uno dei rari casi in cui, acquistata la versione in vinile di un disco, si rimpiangeranno le dimensioni ridotte dei Cd e dei loro booklet.
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