Formati a Portland, nell’Oregon, gli Heatmiser sono stati la band in cui il compianto Elliott Smith si è fatto le ossa prima di avviare la propria breve ma brillante carriera solista a metà anni Novanta
Insieme a Smith, Brandt Peterson (basso), Neil Gust (chitarra/voce) e Tony Lash (batteria) tra il 1993 e il 1996 hanno registrato tre album pubblicati da due etichette prestigiose (in ambito underground), la i>Frontier e la Caroline Records.
La sempre benemerita Third Man Records riporta l’attenzione sulla loro produzione col doppio LP “The Music of Heatmiser”, una raccolta che comprende i brani del primo EP su cassetta inciso dal gruppo, del 7 pollici “Stray”, demo, inediti e alcune performance live catturate su nastro nell’aprile 1993 per la stazione radiofonica KBOO.
Francamente, l’ascolto della compilation non desterà particolare entusiasmo in chi è abituato alle sonorità del circuito indipendente americano di quel decennio. Gli Heatmiser sapevano scrivere canzoni vibranti e intense, con uno stile conciso, cambi di tempo, intrecci di chitarre distorte che non disdegnavano la dissonanza, basso pulsante e batteria incalzante. Tuttavia, la mescolanza di irruenza punk, hardcore e melodia, contaminata ogni tanto con altri linguaggi musicali, era una delle caratteristiche del catalogo di etichette quali Cruz, SST e Dischord Records.
Ecco il motivo per cui sentire pezzi come “Lowlife”, “Mightier Than You”, “Can’t Be Touched” (sembra eseguito dagli All), “Mock Up” (potrebbero essere gli Shudder to Think o i Jawbox), o “Candyland” è sicuramente piacevole, ma certo non si grida al miracolo. Con “Just A Little Prick” e “Dirt” si ha invece l’impressione di aver messo sul piatto un disco dei primi Pearl Jam.
Sarebbe ingiusto, ovviamente, tacciare la band di plagio: in quella “scena”, a livello compositivo ci si influenzava vicendevolmente, ma si fatica a trovare una canzone in scaletta che si distingua per spiccata originalità.
A chi dovesse affacciarsi per la prima volta al suono indie americano degli anni Novanta, “The Music of Heatmiser” risulterà però sicuramente elettrizzante; soprattutto l’ultima parte dedicata alle registrazioni dal vivo (“Black Out”, “Don’t Look Down” e “Lowlife” sono travolgenti).
Peccato per le liner notes un po’ inutili, che ritraggono la cricca musicale della Portland di inizio decennio senza dire granché sul complesso
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