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Luca Maciacchini
Luca Maciacchini: “La farmacia potrebbe anche non esserci”
di Domenico Capitani
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Come promesso dopo l'anteprima del video torniamo sul disco intero. Eccolo Luca Maciacchini che spesso si cita per il suo grande lavoro saggistico su Faber o per esser stato la chitarra di Nanni Svampa… o ancora per esserci stato sulle pellicole di Aldo Giovanni e Giacomo. Sintesi a parte (sempre violenta e poco esaustiva), Luca Maciacchini prima di tutto è un cantautore di quelli teatrali, cioè di quelli che al suono non chiedono l’organza per i palati fini (anche se le tante soluzioni scelte qui sono tutt’altro che scontate). Lui è un artista che al suono chiede soprattutto di vestire con altrettanta ironia la parola e quel certo modo di cantarla. Prima di tutto i significati: non lasciamoli scivolare a suon di risate o di quel brio che arriva dalla leggerezza intellettiva. Riflettiamoci su che dietro l’ironia c’è il peso di una responsabilità a cui siamo chiamati. “La farmacia può anche non esserci” non è solo un titolo ma anche e soprattutto al nostro modo di essere stupidamente presuntuosi nel volerci bastevoli a noi stessi sempre. Quale che sia la materia. Perché “curarsi” dunque? Meglio aprire bocca e dire la nostra che ormai vale tanto quanto quella di qualsiasi esperto. Siamo tutti esperti. E allora “Carta cambia” che apre il disco è solo l’incipit di tutto questo “giostrame" di presunzione e di teatralità dentro cui siamo protagonisti. Il vivere quotidiano cambia a seconda della necessità. E che bello il ricamo che apre questo brano: il disco ci accoglie esattamente con le carte in chiaro e senza alimentare dubbi. Siamo in un circo, pronti a ridere ma doverosamente disposti a riflettere. E così succede anche dentro un altro pezzo geniale come “Il titolista”, goliardica presa in giro a questo mondo mediatico che non vede l’ora di essere al primo posto, prima ancora della notizia che serve, manco a dirlo, al fabbisogno di notorietà. E questa voce che molto richiama qui un Baccini prima maniera anche… e pesco poi un’altra deriva che a tratti mi rimanda da Gaber e a tratti da Branduardi (sarà per la scelta qui di suoni incantati e il flauto la fa da padrone): “A ognuno… la sua famiglia” è il resoconto di chi siamo dentro i nostri problemi quotidiani, dell’intimità di casa. La pandemia penso sia un vero centro dell’ispirazione di questo disco… E la voce di Maciacchini cambia come cambia la carta, la regola, la legge: ma qui è un cambio artistico che non ha intenzione di veicolare il bello estetico quanto invece il necessario diritto di replica, la presa in giro, il gioco e la “canzonatura” (come direbbe un tale). Il modo rockabilly di “Si bussa…” e la de gregoriana “Non perdonare” (che un poco paga pegno anche a casa di Concato ma comunque tanto sembra arrivare dalla canzone degli anni ’70), sono momenti in cui Maciacchini scende in platea e fa il cantautore tout court. Poi ci torna anche per indossare dei suoni rock di una “Tasche rare” che se avesse avuto più ruggine e istinto forse sarebbe stata bene in bocca ad un primo Bennato. E così via fino al monologo finale: qui siamo a casa di Gaber, senza se e senza ma. Un mix che non porta la voce in primissimo piano e questa cosa mi piace assai, come mi piace la cura nei suoni anche della sezione ritmica, molto pop sicuramente… ma tutto questo non deve interessare: io lo penso come un disco “politico” in senso alto del termine. Ascoltatelo senza etichette e con la leggerezza che non merita ma che in qualche modo vuol comunque consegnarci. Ma è solo apparenza: pronti a prenderci le responsabilità.
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30/04/2024 -
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