Nuovo album per i King Hannah, il duo di Liverpool composto dalla “vocalist” Hannah Merrick e dal chitarrista Craig Whittle che si è imposto all’attenzione di tutti quattro anni fa.
Si tratta del loro secondo disco, quello importante, quello che di solito decreta l’effettiva statura di una band. Ebbene, possiamo tranquillamente affermare che l’operazione è perfettamente riuscita: si notano molti progressi in fase di “songwriting”, negli arrangiamenti e anche nella produzione, anche se l’anima “indie rock” del gruppo rimane inalterata. L’album si intitola “Big Swimmer” e la “title track”, una ballata folk molto intrigante, vede la partecipazione alla voce di Sharon Van Etten. Le canzoni del nuovo disco sono state generalmente composte in tour, in particolare nel New Mexico, un luogo lontano anni luce da Liverpool e dall’Inghilterra del Nord, un posto dagli orizzonti ampi, molto aperti, un contesto che facilita l’adesione a nuove prospettive.
Negli Stati Uniti i King Hannah hanno diviso il palco con Kurt Vile, con Kevin Morby e con Thurston Moore, hanno partecipato a diversi festival e hanno accumulato tante esperienze nuove che si sono trasformate in altrettante storie da raccontare. Le nuove composizioni inserite nell’ album presentano quindi un giusto equilibrio, una alternanza ben dosata fra tonalità melodiche e momenti più oscuri, in cui torna ad emergere la rabbia.
Il blues delle origini è adesso investito dalla sabbia del deserto, risulta influenzato da atmosfere “tex mex” (“Somewhere Near El Paso'') e abbraccia dichiaratamente un folk basico ed essenziale (“John Prine On The Radio”), un brano che è un omaggio al grande cantante americano di “country music” scomparso durante la pandemia. Non mancano però composizioni più ritmate, che sono su un versante decisamente più “underground” (“New York, Let’s Do Nothing”) e citazioni “acid rock” dove la chitarra di Craig diventa quanto mai dura e sferzante (“Milk Boy”). Una segnalazione particolare merita una “folk ballad” lenta e intrigante (“This Wasn’t Intentional”) dove la voce di Hannah Merrick si intreccia ancora una volta con quella di Sharon Van Etten, con la chitarra elettrica di Craig Whittle sullo sfondo, a disegnare gustosi contrappunti psichedelici.
Il resto del disco mantiene un livello compositivo piuttosto alto, grazie a ballate evocative che ricordano alcune cose di Bill Callahan (“Suddenly Your Hand”) oppure qualcosa dello stile acido dei vecchi Slint (“Lily Pad”). Un disco diverso per i King Hannah, il loro primo album americano, per così dire. Una svolta che si nota chiaramente anche per la durata delle undici composizioni. Non ci sono più i pezzi lunghi che avevano caratterizzato sia l’EP che l’album d’esordio dei King Hannah, ma canzoni generalmente più brevi e anche più dirette.
Un album ben realizzato, a suo modo una novità, una bella sorpresa, con cui vale la pena confrontarsi. Da ascoltare.
|