Premessa: per chi scrive, “Velocity Girl” era solo il titolo di un bel pezzo dei Primal Scream; la scoperta dell’esistenza di un gruppo con tale nome è avvenuta grazie a questa ristampa dell’LP d’esordio della band in edizione ampliata.
Nessun effetto nostalgia, quindi, nell’ascolto di “UltraCopacetic”. Album il cui missaggio è stato rimaneggiato per porre rimedio, a posteriori, all’insoddisfazione provata dal complesso nei confronti di quello del supporto originale uscito su Sub Pop nel 1993.
Al di là delle perplessità “filologiche” provocate da operazioni del genere, la versione “Remixed and Expanded” di “Copacetic” dà lustro a sonorità indie-rock angloamericano dei primi anni Novanta al cento per cento: ruvidezza della distorsione, improvvise aperture melodiche, chitarre che d’un tratto arpeggiano cristalline, o diventano acustiche, ritmi non di rado martellanti.
Bizzarro, però: sembra spesso di sentire i Mega City Four con una cantante al posto del compianto Darren "Wiz" Brown. I Velocity Girl hanno iniziato l’attività musicale quasi contemporaneamente al gruppo inglese, e sarebbe inappropriato tacciarli di plagio. Eppure, in brani come “Crazy Town”, “Copacetic”, “Living Well”, e soprattutto “Audrey’s Eyes”, l’impressione è netta: Sarah Shannon pare riprodurre il modo di modulare la voce di Wiz, e le armonie e l’impianto delle canzoni ricordano nitidamente album accattivanti quali “Who Cares Wins” (1990) e “Sebastopol Rd” (1992).
Si potrebbe aggiungere che la fremente “Lisa Librarian” suona un po’ troppo Dinosaur Jr., e che il riff di “57 Waltz” è un probabile omaggio a “Diane” degli Hüsker Dü che non entusiasma. Giudizio simile per l’incedere sonnolento di “Here Comes”, e di “A Chang”, settima canzone in scaletta, che trasmette già la sensazione di una sequenza di composizioni pressoché priva di variazioni che catturino l’attenzione.
Gradevoli, però, i pieni e i vuoti di “Pretty Sister”, con sventagliate di sei corde “shoegaze”, l’orecchiabile “Pop Loser”, e più in generale la vivacità delle numerose tracce bonus, alcune delle quali, all’epoca, pubblicate su singolo (“Warm/Crawl”, “Creepy”, e “Stupid Thing”, con i suoi cambi di tempo, si ingraziano le orecchie dell’ascoltatore un po’ provato).
Le John Peel session non suscitano sorprese, ma presentano versioni più convincenti rispetto alle registrazioni in studio per l’album (particolarmente apprezzabile “Copacetic”, che richiama alla memoria i Sundays).
Insomma, una ristampa pregevole per l’abbondanza di materiali offerti ai potenziali acquirenti, il cui valore, tuttavia, risiede più nell’essere una “testimonianza” da archivio che nella musica “riportata alla luce” con zelo dalla Sub Pop.
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