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Boccuto
“Il cielo non cade mai”
di Domenico Capitani
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Sono diversi i piani che mi lasciano celebrare a pieno questo nuovo disco del brianzolo Marco Boccuto. In primis il suono, fatto di sintesi e mai di inutili ridondanze oggi divenute gratis per tutti. I riverberi giocano un ruolo fondamentale nella letteratura che questa voce ci consegna, tutto quasi come fosse un antico presagio, a volte come anatemi o velati sogni di speranza. Ed è tutto molto coerente per tutto l’ascolto. Bella la voce di Boccuto, puntuale sulle metriche, precisa e affidabile anche nelle espressioni. Forse di quelle voci che si arricchiscono di espressività quando hai modo di vederle e non solo di sentirle. Si guardi ad esempio il video di “Razza di ragazza”. E a proposito di sintesi, è la dimensione intima che trasporta il tutto su piani davvero interessanti. La chiusa “Ci penserò due volte” è il manifesto di tutto questo nuovo disco, in tal senso sicuramente. Al piano non è da meno e in ogni dove, ogni soluzione, non cerca mai - come dicevo in esergo - una qualche soluzione esteticamente eccessiva. Anzi: fa poco e bene quel che serve. Si pensi alla intro di “Miyazaki” dove tra l’altro ci troviamo dentro uno dei pochi momenti in cui il cantautore di Monza sceglie espressioni vocali e arrangiamenti melodici assai aderenti alla più usurpata scena indie a firma di artisti come Truppi. Tornando al suono: bello sempre quello di chitarra soprattutto nei momenti di ritmica quando restituisce una componente “ferrosa” alla pennata che diviene parte integrante del ritmo e dell’espressione. Belle le nebbie invernali introdotte da pennellate di chitarre elettriche (credo siano chitarre elettriche o forse synth) come quelle che troviamo dentro “Dimenticati del mondo”, le stesse che ci ricordano la bellezza di brani come “Angelo della nebbia” di un più commerciale Ligabue ma nella versione acustica in “Giro d’Italia”. Occhio: Boccuto non poche volte pesca assonanze con il nostro Liga, e lo dico qui non per sminuirlo o per consegnarlo allegoricamente a mode dei calderoni commerciali. Ma anzi: bello prendere dettagli che comunque vengono da professionalità alte del mestiere. Mi piace la compattezza che un po’ sa di digitale e un poco di acustico. Mi piacciono meno invece i suoni (penso decisamente programmati, magari sbaglio eh) di batteria: l’umanità della voce viene soffocata da dettagli troppo, decisamente troppo composti. “Il cielo non cade mai” sembra sbandierare al volo momenti di verità umana che dovrebbero difendersi da quelli mediatici imposti alla pubblica piazza. Ma non solo… sono pennellate private e, lasciandomi portare a spasso dal modo di questa voce, le penso assai dolorose nel venirle a rievocare. Un disco dunque ci muoviamo dentro dettagli per palati fini.
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25/10/2024 -
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